Gli antibiotici sono pillole magiche che sconfiggono ogni tipo d’infezione, dalla polmonite al banale mal di gola. Lo crede il 90 per cento degli italiani, opinione condivisa dalla maggior parte degli europei: il Centro Ue per il controllo delle malattie evidenzia come dal 2019 al 2023 non si registri, in nessun Paese dell’Unione, un calo nel ricorso a questi medicinali. Un vero “bagno” di antibiotici: l’Agenzia del farmaco rivela in Italia una crescita del consumo di +6,4 per cento nel 2023. Ora a rafforzare la nostra preoccupazione arriva uno studio svedese comparso su «MedRevix», ripreso dalla rivista «New Scientist» che, grazie all’analisi dei campioni di feci di seimila adulti, ha dimostrato che assumere anche un solo ciclo di antibiotici modifica, per anni, la composizione del microbiota intestinale, ovvero di quell’insieme di microrganismi (batteri e virus) che svolge un ruolo prezioso nel proteggerci dalle infezioni. Di fronte ad un fenomeno così vistoso e che non accenna a diminuire nonostante le campagne televisive (peraltro timide) del Governo rivolte ai consumatori e solo a loro (mai ai camici bianchi), si ha l’impressione che qualcosa di rilevante sia andato storto. E qui entrano in gioco i medici, tutti, dagli specialisti a quelli che fanno la medicina sul territorio, e le università che dovrebbe formare professionisti al riparo dal consumismo farmaceutico. C’è un impiego eccessivo e a sproposito degli antibiotici perché esiste una iper-prescrizione, dettata dalla superficialità (spesso impreparazione) e da un modo di lavorare pericoloso: niente visite a casa, spesso nemmeno in ambulatorio. Così domina il consulto telefonico e allora il camice bianco, per mettersi a riparo da ogni rischio, consiglia la “copertura” antibiotica anche quando sa che non serve, in primis nelle infezioni virali. Questo atteggiamento, in atto da decenni, ha convinto la popolazione, per lo più priva di nozioni mediche, che l’antibiotico sia per definizione un’ipoteca di guarigione, e che comunque anche se non serve, male non faccia. Mentre si stima che entro il 2050, oltre 39 milioni di persone potrebbero morire a causa di infezioni resistenti agli antibiotici (analisi su 204 Paesi, pubblicata dalla rivista Lancet). Perché le università non recepiscono il problema facendosi carico di una formazione diversa? Non lo fanno perché è un compito complesso ed è difficile dare una sterzata ad una medicina così sbilanciata verso i farmaci. Più facile nascondere la polvere sotto il tappeto e prendersela con i pazienti che affollano le farmacie “famelici” di antibiotici perché qualcuno li ha convinti che bisogna curarsi così.