FRANCAMENTE...

In questi giorni in televisione e sui quotidiani imperversa la polemica sulla lottizzazione della RAI, soprattutto dei suoi telegiornali. I cambiamenti ai vertici delle testate, improntati al nuovo scenario di governo (cosa sempre successa, peraltro, con coalizioni sia di destra che di sinistra) hanno sollevato aspre critiche. La RAI è la principale “azienda culturale” del Paese, si dice da più parti, deve esprimere un maggiore pluralismo, va tutelata per garantire un’informazione equilibrata ai cittadini. Ma queste considerazioni che – ci permettiamo di dire – abbiamo sentito milioni di volte, sono ancora valide al tempo del web? Le “industrie” dell’informazione sono tante ormai, e decisamente influenti soprattutto sulla popolazione sotto i quarant’anni. I dati di diverse inchieste in proposito sono chiari. Stando al Censis, oggi Facebook è il secondo strumento di diffusione delle notizie, dopo i tg: lo utilizza per informarsi il 31,4% degli italiani. E il 20,7% ricorre ai motori di ricerca online, Google prima di tutti gli altri. Fra il pubblico sotto i trent’anni, il dato esplode: Facebook batte tutti, e quasi in 4 casi su 5 (l’88%) è il social interpellato prima degli altri per scovare informazioni. I più giovani sembrano affezionati a Instagram, così visual, perciò di rapida consultazione, anche se solo il 10% lo mette al primo posto. Leggermente meglio Twitter (27% di preferenze) che, però, appare una piattaforma “da adulti”, tanto che non viene consultato regolarmente per trovare informazioni (e pensare che la maggior parte dei politici affida le proprie considerazioni proprio al social di Elon Musk). In sintesi, tv e quotidiani rischiano di finire ben presto nel dimenticatoio a favore dell’informazione digitale. L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni – AGCOM ha pubblicato lo studio “L’informazione alla prova dei giovani”, stando al quale l’allontanamento dei giovani dall’informazione tradizionale appare legato ad un’offerta che non soddisfa le loro esigenze. Le evidenze mostrano che in Italia – ma la situazione è simile anche in altri Paesi – gli stili comunicativi, i punti di vista, i temi trattati dai mezzi di informazione “classici” non corrispondono più al mondo giovanile che si è spostato verso nuove forme di narrazione della realtà (ad esempio, molta più scienza e tecnologia di quanto sia oggi presente nei media). In conclusione, la tv generalista si sta trasformando (o è già diventata?) in un prodotto per un pubblico maturo. Da qui le tante operazioni nostalgia che si traducono in format televisivi con protagonisti in età sempre più avanzata (presentatori, cantanti, attori). Alla luce di queste considerazioni possiamo ancora dire che la RAI è la più importante industria culturale del Paese?