sabato 18 Maggio 2024

FRANCAMENTE...

Sono ormai cinquecento gli studenti arrestati negli Stati Uniti per le proteste contro il genocidio dei palestinesi che si sta perpetrando a Gaza sotto gli occhi – per ora impotenti, nonostante gli sforzi – della comunità internazionale. Verrebbe da dire pochi in un Paese sterminato come l’America, ma questi ragazzi studiano nelle università più prestigiose (50-70mila euro di retta all’anno), dalla Columbia, da dove è partita la protesta, a Yale, all’università della California del Sud, all’Emerson College di Boston. Ragazzi privilegiati, si dirà, figli di gente ricca e potente, come ha sottolineato Federico Rampini su “Il Corriere della Sera” pochi giorni fa rievocando Pier Paolo Pasolini che in occasione degli scontri di Valle Giulia del 1968 a Roma si schierò con i poliziotti, figli del proletariato, contro gli studenti borghesi. In realtà questi cinquecento, arrestati in 15 università, possono spostare qualcosa, innescare un movimento più ampio. È possibile, anzitutto, per il clima sempre più divisivo che sta precedendo le elezioni di novembre: l’estrema destra trumpiana, durante le inquisizioni condotte dall’Education Commitee della Camera ha intimidito i presidi delle università di élite fra le cui fila ci sono state adesioni al movimento degli studenti, e se fra i Repubblicani il sostegno ad Israele è largamente condiviso, fra i Democratici non c’è una posizione univoca. In secondo luogo, questi ragazzi non vanno sottovalutati come sottolinea Guido Rampoldi su “Domani”: «Sembrano il segmento più cosmopolita di una gioventù che fin ad ieri pareva, come le precedenti, rassegnata all’immutabilità del reale, rifluita nel privato…». E in Italia? La protesta degli universitari contro il genocidio di Gaza, va avanti e sta coinvolgendo un numero crescente di atenei, Pisa, Roma, Napoli, Bologna, Torino, ora anche Siena, con la richiesta di interrompere i progetti di ricerca condivisi con università israeliane. Ancora la protesta nel nostro Paese, come nel resto d’Europa, non è rilevante quanto quella che sta scuotendo gli Stati Uniti, ma i ragazzi si assomigliano, appartengono alla generazione Z, nati fra il 1997 e il 2012, soffrono l’ansia di un futuro catastrofico fatto di guerre totali, di cambiamenti climatici devastanti, di interessi economici in mano a pochi. Un futuro che non vogliono. Ci sarà un nuovo Sessantotto?

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