Milano 23 Luglio 2020
Tre storie di vita coniugale, di amore e malamore, di sesso e violenza. Tre storie di figli e genitori, di scontri generazionali, di persone fragili, con poche difese. Vulnerabili, come dice il titolo italiano del film del regista Gilles Bourdos, è ispirato ai racconti di Richard Bausch, scrittore americano, specialista in coppie malandate.
Tre le vicende che qui si narrano, si sfiorano, non si incontrano mai. A partire da quella di Joséphine e Tomasz.

Just married, sposini giovani e innamorati, li vediamo salire di corsa nella stanza dell’albergo di lusso scelto per la loro prima notte di nozze. Un po’ bevuti, un po’ fumati, impazienti di sbarazzarsi degli ingombranti vestiti da cerimonia, di fare l’amore. Ma poi di colpo tutto cambia, lui si fa prendere dai vortici di una stupida gelosia retroattiva, diventa volgare, le chiede di fare lo striptease, inizia a insultare i genitori di lei. E la notte d’amore si trasforma in una notte da incubo. Stesso sfondo, siamo in una Nizza invernale e deserta, altro interno. Mélanie telefona al padre: si è innamorata, è incinta, vuole sposarsi. Tre sorprese in una. E non è tutto. Davanti all’inevitabile domanda, lui chi è? Mélanie esita. Jan Petersen, il futuro marito, è il suo prof, un uomo maturo. 63 anni. Tonfo dall’altra parte del filo. Invano il padre le ricorda che il “fidanzato” ha 18 anni più di lui, 40 più di lei. “Non è un problema” assicura la figlia.

Terzo scenario, altra telefonata. Nicole, donna di mezza età, chiama il figlio per avvisarlo che il marito l’ha lasciata per un’oculista marocchina con la metà dei suoi anni. Dopo averle detto che 32 anni di infelicità coniugale erano abbastanza, è partito in crociera con lei. Nicole non l’ha presa bene, ha dato fuoco all’auto del fedifrago, ha sfasciato la casa. E a Anthony, che con il prof Petersen stava parlando della sua tesi di laurea, non resta che mollare tutto e correre dalla madre, finita in una clinica psichiatrica.
Espèces menacées, titolo originale del film, alludeva alle specie a rischio che sono certi esseri umani. Bisognosi di amore, logorati dal veleno di rabbie e paure incontrollate e incontrollabili. Quel che ne esce è un mosaico di infelicità domestiche oppressivo e claustrofobico, costruito secondo lo schema del “gioco delle famiglie”, dove le carte vengono continuamente rimescolate, gli errori di padri e madri ricadono sui figli, quelli dei figli sui genitori, in una catena di sofferenze e prepotenze senza fine.
Famiglie avariate. Joséphine (la bravissima Alice Isaaz) disprezza la debolezza del padre ma accetta la violenza del marito tentando, come spesso accade, di giustificarlo oltre ogni limite. Il padre di Mélanie (il sensibile Éric Elmosnino) si infuria con la figlia per aver scelto un uomo anziano ma è incapace di confessarle il suo prossimo divorzio. Quanto a Nicole (Brigitte Catillon) fuggirà dal manicomio con il figlio, il debole Anthony (Damien Chapelle), sostituto incestuoso del marito che l’ha mollata.

Tutto purché funzioni direbbe Woody Allen. Il tragico sfiora sempre il comico, la famiglia salva, la famiglia uccide. Difficile prendere le parti di chiunque in questo groviglio di emotivi anonimi, psicotici passionali, complessati musoni. Su un solo fronte ci sentiamo di sposare una causa: quando il marito manesco della prima storia chiede alla mogliettina ancora in abito da sposa: perché mi odia tua madre? Lei risponde: perché non ama i tatuaggi. A quel punto, davanti allo sfoggio di ragni, serpenti e mostriciattoli vari incisi sul suo non possente torace, per una volta ci schieriamo dalla parte della suocera.
Immagine di apertura: Josephine (Alice Isaaz) e Tomasz (Vincent Rottiers) appena sposati in una sequenza di Vulnerabili