Milano 23 Novembre 2020
«Le parole sono dotate di un immenso potere, sono in grado di aiutare, di indicare un cammino, di recare speranza o disperazione nel cuore dei malati». Questo brano di La fragilità che è in noi (Einaudi) dello psichiatra Eugenio Borgna sintetizza bene l’importanza e la delicatezza della relazione fra il medico e il suo paziente.
Relazione che sta vivendo una fase storica difficile. Lo rivela il fatto che l’aderenza (quella che gli anglosassoni chiamano compliance), del malato ai trattamenti registra un declino inarrestabile: la metà delle persone alle quali viene prescritta una terapia di lungo periodo, nel giro di poco tempo la abbandona. Il paziente non capisce bene che cosa deve prendere e a quale scopo, mentre accusa disturbi collaterali sui quali non viene rassicurato. Di conseguenza, ha perso la storica fiducia nell’uomo con il “camice bianco”. Un medico che sembra non rendersi conto delle sue carenze, carico com’è di pregiudizi che lo portano a vedere la relazione ancora in modo paternalistico: «Soltanto io posso scegliere ciò che è giusto per la salute delle persone»; e queste si trovano relegate in uno stato di soggezione.
In effetti, a ognuno di noi vengono in mente episodi di relazione infelice quando si è trovato dalla parte del “paziente”. Basta solo pensare al “foglio” di dimissione: quanto di meno comunicativo ci può essere di quella lettera che non si rivolge a noi, ma ad un altro ipotetico medico che ci prenderà in cura, spesso scritto con astrusi termini tecnici, addirittura, qualche volta, in inglese?

Sentimenti e problematiche di cui si occupa la Fondazione Quarta, la cui missione è proprio fare ricerca, formazione e divulgazione per mettere i medici in grado di relazionarsi con i pazienti. Ne è Presidente (e fondatrice) Lucia Giudetti Quarta, milanese, laureata in Economia all’Università Cattolica di Milano e specializzata in Psicopedagogia all’Università di Torino, consulente per oltre vent’anni di grandi aziende dove si è occupata di formazione e sviluppo del capitale umano, in particolare del comportamento relazionale dei manager. Poi, l’esperienza della malattia oncologica del marito Giancarlo, scomparso nel 2003. Una frase terribile detta dal chirurgo fuori dalla sala operatoria, subito dopo l’intervento non riuscito: “Signora, sua marito è arrivato”. «Le parole fanno sempre male, ma scoprire quanto possano essere aggressive in una situazione di malattia, è stato molto doloroso» racconta. La Fondazione nasce nel 2004, nove mesi dopo la morte di Giancarlo Quarta. «Il nostro obiettivo è sviluppare e diffondere la cultura della corretta relazione di cura per alleviare la sofferenza dei pazienti, in particolare di quelli gravi».
«Nel corso delle nostre ricerche, ci siamo occupati di fare una rilevazione puntuale dei bisogni dei pazienti con malattie gravi – prosegue Lucia Quarta – . Ci ha colpito come in cima alla classifica ci sia, in assoluto, la continuità del rapporto. Emblematico il caso di un paziente il cui ricordo più gratificante è aver sentito l’oncologo che, dopo aver dato tutte le indicazioni sulle cure, ha aggiunto: “Questo è il mio numero di cellulare, in caso di qualsiasi imprevisto”. “Non l’ho mai chiamato, ma avere in tasca il suo numero di telefono è stato meglio di un intero ciclo di terapia” ricorda il malato».

E per il medico? «Esattamente l’opposto: la capacità più importante è influenzare. Le ragioni sono antiche; storicamente il medico ha ricoperto un ruolo ieratico, superiore, il cui successo era sancito dal saper dare la terapia o l’intervento migliore. Oggi le cose sono cambiate, il dialogo è diventato cruciale perché non ci sono più solo patologie curabili o operabili, ma anche malattie croniche con cui il paziente convive per decenni. Ma ancor più importante è che le persone con cui interagisce siano informate. Oggi il malato ha bisogno di approfondire e di chiedere. Vuole sapere. Quando abbiamo cominciato, la capacità di relazione dei medici era inesistente. Una totale impreparazione tecnica sulla comunicazione di notizie, soprattutto se negative».
Sulla base di questi riscontri, la Fondazione Quarta si è dedicata a un progetto innovativo per potenziare i comportamenti virtuosi presso l’Istituto Nazionale dei Tumori: intervistare i pazienti per farsi raccontare casi di buona relazione.

Racconta ancora la Presidente: «Ogni giorno, per due anni, i pazienti disponibili sono stati intervistati e hanno raccontato la loro buona esperienza di dialogo con il medico, di cui precisavano il nome. Al medico protagonista veniva inviata una lettera a firma della Fondazione con l’apprezzamento, il ringraziamento e il caso completo. Poi abbiamo inserito tutti i casi in un sito web dedicato, riservato ai sanitari». I numeri sono importanti: 5000 malati coinvolti, 360 lettere di ringraziamento, 135 medici che hanno ricevuto lettere di rinforzo, un potenziamento della qualità relazionale percepito dai pazienti del 54 per cento a 6 mesi dalla conclusione della ricerca. «I medici, vedendo progressivamente riconosciuti i propri buoni comportamenti, li hanno amplificati e ne hanno adottati di nuovi, consolidando le proprie modalità di relazione».
Immagine di apertura: foto di Pressfoto