Milano 27 Aprile 2024
La storia è vera. Così vera che, pur se accaduta un secolo fa, sembra inventata per il nostro oggi. Anno 1922, siamo a Littlehampton, cittadina del Sussex sulla costa meridionale dell’Inghilterra. Un pugno di case, un pugno di abitanti, la chiesa come unica attrazione sociale. Tutti conoscono tutti, tutti sanno i fatti di tutti. E quando non li sanno, se li inventano. Finché, a spezzare il tran tran tra pub e focolare, piomba lo scandalo più ghiotto e inatteso: Edith, una delle pie donne del paese, inizia a ricevere delle lettere anonime. Così traboccanti di oscenità da far impallidire il più sboccato degli ubriaconi, il più spregiudicato dei libertini.

Prende il via da qui Cattiverie a domicilio – titolo originale Wicked little letters, Perfide letterine. Commedia deliziosamente scorretta, record d’incassi nel Regno Unito, scritta da Johnny Sweet e diretta con piglio ironico e pungente da una donna, Thea Sharrock.
Non poteva essere altrimenti, visto che questo è un film di donne. E di grandi attrici. A cominciare da Olivia Colman, premio Oscar per La favorita, nonché magnifica regina Elisabetta in The Crown, qui nei panni dimessi di Edith Swan, zitella attempata, di inscalfibile moralità, devota, sottomessa a un padre dispotico, allarmato dalle voci di un imminente suffragio femminile, che ha i tratti bruschi di Timothy Spall. L’altra faccia di Edith è l’inquilina della porta accanto, Rose Gooding (Jessie Buckley, candidata all’Oscar per La figlia oscura), vicina di casa di grande simpatia e dubbia reputazione visto che è madre quasi single e per di più ha come compagno un uomo di colore.

Rose dai capelli rossi, schietta e anticonformista, che beve birra al pub, gioca a freccette meglio degli uomini, è la pecora nera del paese. In più è irlandese, una “straniera” da guardare con sospetto. Identikit perfetto per ritrovarsi bersaglio delle maldicenze di una comunità che tutto può sopportare tranne una donna libera, che dice quel che pensa e, quando ci vuole, assesta qualche parolaccia. Anche se di basso calibro rispetto agli sproloqui sconsiderati che infiorano le missive, ma insomma… Di sicuro è stata lei.

In men che non si dica, Rose si ritrova sotto accusa, i poliziotti locali conducono indagini di chiaro stampo maschilista, entusiasti di poter mettere a tacere la ribelle impertinente. Il processo sembrerebbe avviato a esito scontato se, a difesa di Rose, non intervenisse Gladys Moos (Anjana Vasan, premiata attrice di teatro e anche di serie tv come Black Mirror). Prima e unica donna poliziotta della contea, Gladys è una sua volta una provocazione in divisa. Trattata con sufficienza dai colleghi uomini e diffidata di occuparsi del caso, non si dà per vinta e porta avanti con ostinazione una sua inchiesta personale arrivando a ben altre conclusioni.
Al limite tra il giallo e il grottesco, la vicenda, si diceva, è successa per davvero nella vecchia Inghilterra di cent’anni fa.

Eppure, mentre nel film si dipana con leggerezza velenosa tra un colpo di scena e un altro, il riferimento al nostro presente è inevitabile. Perché, se la condizione femminile è cambiata, pregiudizi e discriminazioni nei confronti delle donne resistono e persistono. E quelle lettere anonime traboccanti di odio e volgarità non possono non farci pensare al fenomeno infestante degli haters e dei troll. La caccia alle streghe della cittadina del Sussex non poi è così diversa dallo spargimento di veleni e maldicenze tanto in voga tra i frustrati del web, le cui vittime prime sono, ancora una volta, proprio le donne.
Resta una nota sul capitolo turpiloquio. Abitudine triviale che in quelle lettere vergate a penna si trasforma in scarica adrenalinica, sfogo terapeutico contro stress e frustrazioni, parossismo creativo. Un’estetica della parolaccia pantagruelica assurta ad arte, così che, parafrasando Metastasio, si potrebbe dire che dello sboccato è il fin la meraviglia.
Immagine di apertura: La bravissima Olivia Colman (a sinistra) nei panni della zitella Edith e Jessie Buckley che interpreta Rose, l’inquilina della porta accanto, in una scena del film Cattiverie a domicilio