Milano 27 Maggio 2024
La scoperta di un farmaco efficace per l’Alzheimer assomiglia alla ricerca del Santo Graal, viste le sfide che presenta: la complessità della malattia, la mancanza di una comprensione completa delle cause, la diversità dei pazienti e la difficoltà di una diagnosi precoce. Non a caso sono anni che ricercatori di tutto il mondo si impegnano in questo campo, per ora con risultati sostanzialmente deludenti. I riflettori su questi studi si sono accesi improvvisamente per tutti nel 2021 quando l’Ente Regolatore dei farmaci statunitense, la Food and Drug Administration, a sorpresa, ha approvato la messa sul mercato di un anticorpo monoclonale, l’aducanumab, frutto di anni di ricerca a Zurigo, ma prodotto poi dall’azienda americana Biogen insieme all’Eisai di Tokyo. Un’autorizzazione contestata da più parti, perché si ritenevano deboli le prove di efficacia del farmaco mentre sembrava decisamente “forte” il suo prezzo sul mercato, 56mila dollari annui, poi ridotti alla metà (la cura si fa con una infusione mensile in ambito ospedaliero).

L’Aducanumab agisce sugli accumuli di proteine nel cervello tipici del morbo di Alzheimer (placche), una delle quali è la cosiddetta beta-amiloide. L’obiettivo è consentire alle cellule immunitarie di riconoscere e degradare la proteina patologica, contrastando la distruzione dei neuroni (va comunque detto che nonostante anni di studi, non è ancora certo il ruolo centrale della beta-amiloide nella comparsa della malattia). Il principio attivo è stato testato per 18 mesi in due vasti lavori su oltre 3200 soggetti in uno stadio precoce della malattia di Alzheimer. Sulla scorta di un’analisi intermedia, che ha considerato i dati di circa 1700 pazienti, è stato ritenuto improbabile il raggiungimento degli obiettivi degli studi che sono stati interrotti nel marzo 2019. I partecipanti alla ricerca hanno comunque continuato a essere trattati con l’Aducanumab, il che ha permesso di rilevare ulteriori dati sull’efficacia: in alcuni soggetti i depositi di proteine sono quasi completamente spariti a distanza di un anno e le capacità mnemoniche leggermente migliorate.
Gli esperti alla fine sono sicuri di una cosa sola: Aducanumab è in grado di sciogliere i depositi proteici dannosi nel cervello, ma resta da chiarire se questo possa effettivamente salvare le cellule nervose dei pazienti e fermare la progressiva perdita della memoria. Nonostante i dati incerti, la Food and Drug nel luglio del 2021, ha approvato il nuovo preparato fermo restando che Biogen dovrà pubblicare i risultati di nuovi studi in corso entro febbraio 2030. Se i risultati fossero negativi, l’Ente revocherà l’omologazione.

Sino a quel momento l’azienda potrà commercializzare il farmaco e ottenere potenzialmente introiti miliardari. Nel frattempo tre esperti del comitato indipendente che fornisce consulenza alla Food and Drug si sono dimessi, irritati dall’approvazione contraria alla loro raccomandazione. E non a caso Il 17 dicembre 2021 l’Agenzia europea per i medicinali (EMA) ha respinto l’approvazione del preparato nel Vecchio Continente.
Ma la storia non finisce qui: Il 6 gennaio 2023 L’Ente Regolatore Statunitense ha autorizzato la messa in commercio di un nuovo farmaco per il trattamento dell’Alzheimer: l’anticorpo lecanemab, anche questo prodotto dalla Biogen con l’Eisai di Tokyo. Per concederne l’autorizzazione, la Food and Drug Administration si è basata su uno studio condotto su 856 pazienti con Alzheimer allo stadio iniziale, cioè con una lieve demenza. Ebbene, i soggetti che avevano ricevuto la dose approvata di lecanemab, cioè 10 milligrammi/chilogrammo ogni due settimane, hanno registrato una riduzione statisticamente significativa delle placche di beta-amiloide nel cervello alla 79a settimana rispetto al beneficio zero riscontrato in chi ha ricevuto placebo (un farmaco inerte, cioè acqua fresca). Ma questo porta anche ad un arresto dei sintomi della malattia? Mah, non ci sono certezze, mentre è sicuro che il farmaco ha effetti collaterali, come l’accumulo di liquidi a livello cerebrale, emorragia cerebrale, edema. Fortunatamente, rari.

In mezzo a dubbi e polemiche, con due farmaci approvati e una lunga lista di esperti esterni a criticarne l’efficacia e la sicurezza, la Food and Drug Administration ora ritarda il parere su un altro farmaco per l’Alzheimer della stessa famiglia, il donanemab, sviluppato da Eli Lilly. L’agenzia ha deciso di convocare un panel di esperti indipendenti per valutarne l’efficacia e la sicurezza. Il donanemab ha dalla sua la pubblicazione su JAMA, la rivista dell’associazione dei medici americani, di risultati positivi: la somministrazione del farmaco per 18 mesi a persone con Alzheimer in fase iniziale ha rallentato il declino mentale del 35 per cento rispetto ai soggetti cui era stato dato un placebo. Ma anche qui si sono evidenziati effetti collaterali, come microemorragie cerebrali.
In conclusione si va ancora in cerca della “pillola magica” per una malattia che in Italia colpisce circa 600mila persone e coinvolge nell’assistenza una gran numero di persone, ma per ora i successi sono modesti. L’Alzheimer che con tutta probabilità ha origine dal molti fattori, non tutti organici. Fermarsi all’idea di una proteina tossica che invade il cervello è una ipotesi, forse, semplicistica.
Immagine di apertura: foto di Geralt