Milano 27 Settembre 2024
Stando ai dati riportati pochi giorni fa da Sanità24, il quotidiano digitale del Sole24ore, dal 1° a 31 agosto non c’è stato un solo giorno in cui un medico o un infermiere non abbia subito una violenza fisica da un paziente o da un suo parente. L’ultimo episodio di questo agosto-settembre “neri” è avvenuto all’Ospedale di Foggia con il personale sanitario chiuso dentro una stanza per sfuggire alla rabbia dei parenti di una donna deceduta dopo una operazione. Di fronte ad una tale emergenza, le proposte fioccano. Secondo il presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici e degli Odontoiatri, Filippo Anelli, bisogna applicare l’arresto in flagranza differita. «Chiediamo che le strutture ospedaliere, le strutture sanitarie – afferma – siano video-vigilate in modo tale da applicare agli aggressori le pene previste dalla legge» .Fra le tante proposte, ultima in ordine cronologico quella del senatore di Fratelli d’Italia Ignazio Zullo che prevede una sorta di daspo, un’esclusione a tempo determinato dalle cure gratuite nel Sistema Sanitario Nazionale per chi si rende autore di aggressioni al personale sanitario. Il primo governo Conte in realtà aveva varato la “Legge per la sicurezza degli operatori sanitari”. Approvata al Senato, si è arenata alla Camera. Come succede spesso.

Certo è che la situazione è arrivata ad un punto estremamente critico, configurando una escalation continua. Nel 2023 – secondo i dati dell’Anaao-Assomed, il sindacato dei medici e dirigenti sanitari – le aggressioni nei confronti dei sanitari sono state ben 16mila, di cui un terzo fisiche e nel 70 per cento dei casi verso donne. Una situazione esplosiva che si consuma soprattutto nei Pronto Soccorso, a danno degli operatori del 118, nei reparti di psichiatria.
Ma come si è arrivati ad una situazione così critica? Carenza di personale e di organizzazione, tempi di attesa biblici, mancanza di dialogo fra medici e pazienti. Fattore quest’ultimo che sembra pesare molto, moltissimo, sul senso di frustrazione dei pazienti che non si sentono ascoltati, tenuti in considerazione, trattati con il dovuto rispetto, informati adeguatamente. E qui si scopre che la malattia è atavica: la comunicazione non fa parte del bagaglio del medico, nessuno gliela ha insegnata in università, gli sono state date solo nozioni tecniche che creano in lui un’idea di superiorità. La persona quando diventa paziente, quindi uno che non sa, non conosce la materia, diventa automaticamente un oggetto da trattare come tale. La carenza di personale sanitario dovuto alle politiche miopi degli ultimi decenni ha poi scatenato la miccia. Secondo i dati del Sole24ore ben il 23 per cento delle aggressioni sono dovute alla mancanza di comunicazione con il personale sanitario, soprattutto con e dopo la pandemia. Interessanti a questo proposito le considerazioni di vari medici appena pubblicate dalla rivista La voce dei medici.

Scrive Fabio Balistreri, medico di famiglia: «Sulla questione della violenza sui medici credo di pensarla diversamente dai cori sentiti in questi giorni. Da tempo noi medici abbiamo perso molto in deontologia, proprio nel giuramento di Ippocrate, che ora io chiamo “Ipocrite”. Abbiamo perso di vista il paziente mettendo il denaro prima di tutto….fermo restando che aggredire un medico è sempre sbagliato, senza se e senza ma». Francesca Spallarossa, medico di Pronto Soccorso individua un strada: «La centralità della scienza medica deve tornare ad essere la persona che ha bisogno di attenzione, di ascolto, cura, conforto se altro non può dare. Che tristezza quando qualcuno mi dice di un collega “bravo ma anaffettivo”. Il medico e il paziente devono volersi bene, altrimenti come si crea la fiducia?».
Qualcuno, come Rosanna Filiputti, medico di Medicina Generale, punta il dito sull’aggressività dilagante in ogni ambito: «Il fenomeno della violenza contro gli operatori si inserisce in un contesto nazionale di incapacità di risoluzione di una controversia se non in modo aggressivo (ne sono prova eventi quotidiani) in cui articolano molte variabili: incapacità di ascolto, incapacità espressiva, incapacità comunicativa; inidoneità ambientale, ineducazione civica, assenza di solidarietà sociale da parte degli utenti». Come darle torto? Ma per avere questa disponibilità nei confronti dei pazienti, serve tempo, e i medici in ospedale oggi sono sempre meno, oppressi e nevrotici. Come ben spiega Paolo Lippe, oncologo: «Purtroppo la situazione in cui versano I Pronto Soccorso e comunque i centri di assistenza del Servizio Sanitario Nazionale è frutto delle politiche miopi degli ultimi decenni: numero chiuso in università e di conseguenza riduzione del numero di professionisti sui territori e negli ospedali, taglio dei fondi alla Sanità, privatizzazione dei servizi, chiusura di ospedali, chiusura di pronto soccorso, riduzione dei posti letto con conseguente grave difficoltà nel gestire i bisogni dell’utenza. Serve dire altro?». Proprio no.
Immagine di apertura: foto di g4vigilanza.it