Monza 27 Aprile 2025
Pensiamo ad un quadro di Claude Monet, uno delle tante versioni de Il ponte delle ninfee. Da vicino, come accade ai quadri impressionisti, appare il caos formato da un susseguirsi di pennellate colorate. Soltanto guardando da una certa distanza, si mette a fuoco il disegno, la bellezza e si resta sbalorditi da quei trattini non casuali, dosati anche in tarda età da un Monet ormai quasi cieco, per raggiungere un’armonia assoluta.
Se leggiamo le notizie di Sanità, pur andando alla ricerca di un qualche disegno riconoscibile o quadro complessivo, restiamo nel caos. A Siena hanno appena parlato di “umanizzazione delle cure”. Un progetto chiamato Human Care che non è chiaro a chi sia indirizzato. Perché confido che gli iscritti a Medicina, con la vocazione di fare il dottore, vogliano prendersi cura degli ammalati con umanità e non abbiano bisogno di uno specialista di comunicazione che glielo spieghi! Leggendo gli obiettivi di questo progetto si capisce che è frutto di una corrente a cui non interessa migliorare la condizione del personale sanitario e dei pazienti, ma solo di parlarne ai meeting. Si resta sbalorditi dall’inutilità di certe iniziative, pure costose e che prevedono addirittura protocolli firmati da parte degli ospedali per confrontare fantomatiche strategie mentre il personale fugge ed i pazienti si arrabbiano perché non trovano assistenza.

Abbiamo bisogno di concretezza, di sostanza e di buon senso nel prendere in mano il quadro della situazione, non di chiacchiere e progetti di comunicazione fine a sé stessi.
La comunicazione medico-paziente è fondamentale, non c’è dubbio. Il paziente non può essere abbandonato in un letto o in una barella qualsiasi malattia abbia; lui e i parenti hanno bisogno di attenzioni e comunicazione da parte dei curanti. Non bastano le lezioncine televisive. I malati e i parenti che stanno vicino al loro caro – e gli vogliono bene – devono ricevere una comunicazione affettiva e tecnica; è questa l’umanizzazione che serve, indipendentemente dalla prognosi. Solo l’approfondimento della conoscenza tra malato, parenti e personale sanitario, può aiutare ad accettare il concetto di morte assistita. La chiarezza va fatta con tatto, anche quando si devono dare brutte notizie. Qualche volta bisogna saper perdere. A questo riguardo, vorrei parlare del tema donazioni, che sono frutto di una cultura dello stare insieme ed aiutare gli altri, non di una scelta emotiva.

L’atto della donazione non è un atto burocratico. Come si fa a consegnare la scelta di essere donatore ad un addetto dell’anagrafe? Non è una multa! Questi impiegati non sono in grado di spiegare nulla. Non è un luogo adatto a questa scelta. Non servono informazioni, ma saper comunicare ed avere la cultura per farlo in modo appropriato. Il paziente ospedalizzato ha bisogno che tra chi lo assiste ci sia una cultura comune. Gli ambienti di cura non sono dei muri, sono delle comunità di persone che credono in quello che fanno, anche se qualche volta ti vien voglia di non farlo più. Il 10 Aprile al forum “Salute e Sanità, il doppio binario” a cura di Adnkronos il presidente dell’ANAAO (l’associazione nazionale Aiuti e Assistenti Ospedalieri), Carlo Palermo, ha evidenziato come le liste di attesa siano l’effetto, non la causa del problema e ha spiegato come l’ultimo decreto su questo tema, varato dall’attuale governo, se da un lato punta il dito sui gettonisti, dall’altro li avvalla per abbassare i tempi di attesa (sotto forma di co.co.co). Inoltre ha fatto luce su una questione importante: è solo la prima visita ad essere considerata per abbassare i ritardi, ma non il seguito della terapia, che è la vera e propria cura.

Non c’è un progetto coeso, ci sono solo iniziative slegate e senza senso. Un ulteriore esempio è la recente introduzione della valutazione all’università di Medicina dopo sei mesi dall’inizio dell’anno accademico, bocciata da un recente sondaggio dal 48 per cento degli studenti. Non ci sono profili certi di questa riforma e perciò gli studenti preferiscono addirittura il vecchio ostico test. I timori principali sono di perdere tempo se non ammessi, ritrovarsi con un semestre sovraffollato tanto da reintrodurre la didattica a distanza e poi, se ammessi chissà dove, dover cambiare ateneo a corsa.
Sempre sul fronte della formazione in relazione alle scuole di specialità, gli studenti lamentano di non avere contenuti di qualità in almeno il 40-50 per cento delle specializzazioni, dove si trovano a fare bassa manovalanza. Inoltre, il numero di posti in specialità viene aumentato da un algoritmo, senza una logica di programmazione “umana” e dai dati del 2024 emerge una fuga in massa per la medicina di emergenza-urgenza (solo 304 assegnazioni su 1020 contratti) e per le specialità chirurgiche (dalle tabelle pubblicate da ANAAO e ASSOMED, chirurgia generale 362 su 715 e chirurgia toracica 43 su 89).

“Mettere i pazienti al centro” è un’affermazione abusata oggi negli slogan “ecosanitari”, ma i pazienti sono sempre più anziani e, come me, non sempre in grado di interfacciarsi con la tecnologia moderna. Internet e l’Intelligenza Artificiale sono cose che forse serviranno ai nostri nipoti, non a quelli della mia generazione che ancora rappresentano il grosso dei pazienti, ma anche della forza lavoro dei sanitari. Il paziente attuale è costoso perché il personale manca e la tecnologia necessaria è sempre più cara. E, in ogni caso, i salari del personale sanitario in Italia sono troppo bassi. Questo determina una costante fuga di professionisti dal sistema pubblico e contribuisce ad ingrassare le cooperative. Ma i soldi spesso non vengono spesi laddove servono veramente per migliorare la condizione attuale, perché non sappiamo fare un piano con una logica di assistenza per migliorare le cure. Non si può avere un assessore alla Sanità (in Lombardia) che si occupa dei terremoti e alluvioni e si è sempre occupato di questo.
In questo caos forse resta un solo punto fermo: il fascino della professione sanitaria è sempre attuale. Salvare una vita attira ancora sia nell’ambito personale che in quello sociale. I giovani restano la nostra grande speranza per cambiare lo stato attuale, ma in quanti resteranno in Italia?
- Ha collaborato Sabrina Sperotto
Immagine di apertura: fonte: insalutenews.it