Milano 27 Novembre 2021
Non sono passate ancora due settimane dalla chiusura di COP26, la Conferenza delle Nazioni Unite di Glasgow cui tutti abbiamo guardato per la svolta decisiva, l’inversione di passo lungo la via che sta portando alle estreme conseguenze il modello attuale di sfruttamento delle risorse naturali del pianeta. La prossima volta se ne riparlerà in Egitto. Abbiamo sentito discutere di obiettivi globali, di intenti programmatici nazionali, di negoziati e delicati equilibri diplomatici, ma quanto di tutto questo si tradurrà in un reale cambiamento rimane un grande punto interrogativo. Visto che raggiugere un equilibrio sostenibile non può prescindere da un radicale cambiamento del modello produttivo e industriale, la politica internazionale riuscirà a guidare quella che si delinea come la più grande transizione della storia dell’umanità dal punto di vista economico, industriale e culturale? Le aziende e il mercato come stanno affrontando questa sfida epocale?

Abbiamo fatto un quadro della situazione con Carlo Alberto Carnevale Maffè, Docente di Strategia presso la Scuola di Direzione Aziendale dell’università Bocconi di Milano, dove è stato fondatore e coordinatore del Master in Strategia Aziendale. «Mercati diversi, maturità diverse. Non per tutte le aziende la sostenibilità ha lo stesso significato – spiega Maffè -. Pensiamo all’industria automobilistica e all’energia; per loro la sostenibilità non è più un argomento futuro bensì un vincolo immediato e ineludibile. Queste rappresentano le aziende displaced, messe fuori mercato se a breve non avranno adottato modelli di business sostenibili. Per questi settori, la sostenibilità non è teoria ma un’imminente minaccia alla sopravvivenza».

«Il secondo blocco – prosegue l’esperto – è rappresentato dalle imprese che offrono prodotti direttamente ai consumatori, in particolare nel settore alimentare, in quello della moda e della cosmetica. Il loro cliente è una persona sensibile al tema ambientale che pretende di comprare prodotti sostenibili. Queste aziende stanno affrontando un cambiamento radicale della domanda, non dettato dalle normative di riferimento ma da un’aspettativa del consumatore. La sostenibilità è la nuova sfida di ingaggio con il loro mercato. Non sono aziende spiazzate, ma trascinate. E poi c’è il grosso delle aziende italiane, piccole e medie. Sono disorientate, disinformate, per loro la sostenibilità è ancora lontana dal punto di vista della regolamentazione, ma vicina dal punto di vista finanziario, perché il sistema sta evolvendo e le banche non daranno più accesso al credito se non a fronte di un percorso di sostenibilità certificato. Il motivo è semplice: è troppo rischioso prestare denaro a aziende non sostenibili. Queste sono aziende inconsapevoli perché potrebbero scoprire il rischio che corrono nel momento in cui venga loro negato l’accesso al credito. La prima categoria è in shock totale. La seconda la sta gestendo, anche se con tempi più lunghi e approcci più graduali».
Ma per le aziende la sostenibilità non è solo un richiamo dall’esterno. È un’opportunità per adottare modelli virtuosi. B_Corp (Certified B Corporation) è una delle certificazioni più importanti, rilasciata dal B_Lab, ente internazionale con sedi negli Stati Uniti, Canada, Europa e Nuova Zelanda, alle aziende che fanno scelte produttive virtuose sotto il profilo ambientale. L’ente nasce negli Stati Uniti nel 2006 da tre imprenditori, con l’intento di promuovere un nuovo modo di fare business, guidato dal profitto, ma anche da un impatto sociale e ambientale positivo. Lo strumento di misurazione è il B Impact Assessment: riconosciuto a livello internazionale ed utilizzato già da più di 100mila imprese, permette di misurare l’impatto della propria azienda su persone, ambiente, società e territorio e di confrontarsi con altre realtà, ricevendo costantemente input per migliorare le proprie performance.
Oggi nel mondo si sono misurate con questi criteri circa 150mila aziende e solo il 3 per cento, ovvero 4mila, sono riuscite a diventare B_Corp. In Italia sono 125: tra queste Chiesi, Danone e Illy Caffè e, fra le istituzioni, la Business School del Politecnico di Milano. «Non è scontato diventare B_Corp, gli standard richiesti sono molto alti – spiegano Eric Ezechieli e Paolo Di Cesare, fondatori di Nativa, la società che in Italia gestisce il B_Lab -. Le B_Corp rappresentano una soluzione concreta e operativa perché operano tenendo in considerazione l’inclusione delle persone e il bene del pianeta senza mettere in discussione il profitto per gli azionisti, l’imprenditoria, la libera iniziativa, l’innovatività, la competizione, il libero mercato».

«Vediamo tanti progressi e al tempo un’esplosione di sfide che supererà la nostra capacità di adattamento – proseguono i fondatori di Nativa – . Dopo decenni in cui si è parlato di sostenibilità come un tema futuro, oggi ci stiamo rendendo conto che non si tratta di dinamiche lineari ma esponenziali. I modelli di consumo che hanno prosperato fino a oggi, da cui è dipeso il nostro benessere, non hanno possibilità di funzionare d’ora in avanti perché non tengono conto delle capacità del nostro pianeta».
E l’Italia? «L’Italia sta emergendo come un modello a livello globale ma quello che stiamo facendo raggiunge solo il 5 per cento di ciò che servirebbe per rispondere adeguatamente alle sfide che abbiamo di fronte».
Immagine di apertura: foto Pixabay