Milano 27 Novembre 2024
Si può combattere Vladimir Putin anche dall’oltretomba. Con un libro. Il libro di memorie postumo di Alexei Navalny, Patriot, appena uscito con Mondadori. Cinquecento pagine che testimoniano passione civile, ostinata ricerca di verità, onestà, giustizia e, soprattutto, libertà. Coraggio indomito di fronte ad anni di vessazioni e torture con destinazione finale annunciata, ineluttabile: la morte.

Si legge in data 17 gennaio 2024. «Tre anni fa esatti sono tornato in Russia dopo le cure seguite al mio avvelenamento. Sono stato arrestato all’aeroporto, prima dei controlli alla frontiera. Non sono riuscito a fare un passo sul suolo del mio Paese da uomo libero. Per 3 anni sono stato in carcere e per 3 anni ho risposto alla stessa domanda. I detenuti me la fanno in modo diretto. Gli agenti carcerari con cautela: ”Perché sei tornato?”».
Un mese dopo,16 febbraio 2024: Alexei Navalny, detto Ljos, a 47 anni, viene ucciso nella colonia a “regime speciale” russa, nota come Polar Wolf. C’era arrivato sabato 23 dicembre 2023. Così Alexei Navalny lo ricorda: «Sono il vostro nuovo Babbo Natale. Adesso vivo sopra il Circolo Polare Artico nel villaggio di Charp, sulla penisola di Jamal. Quando guardo fuori dalla finestra posso vedere la notte, poi la sera, poi di nuovo la notte. I 20 giorni del mio viaggio sono stati abbastanza sfiancanti ma sono di buon umore». Il 9 gennaio 2024 aggiunge: «Il mio cortile per l’attività fisica misura 11 passi su un lato e 3 sull’altro. La temperatura non è mai scesa sotto i -32 °C. A quella temperatura puoi camminare per più di mezz’ora, ma solo se sei sicuro di poterti farti crescere un nuovo naso, orecchie e dita».

Alexei Navalny sapeva che sarebbe morto in carcere. Non si era mai illuso di un rapido crollo del regime di Vladimir Putin, o di un atto di clemenza. Il leader dell’opposizione russa e attivista anticorruzione Alexei Navalny, avvocato ed esperto di finanza, sapeva di dover «passare il resto dei miei giorni in prigione e morire qui. Non ci sarà nessuno a cui dire addio… ». Era stato inserito nella lista di ricercati, perché «mentre ero in cura in Germania dopo l’avvelenamento, non ho rispettato l’obbligo di firma presso la divisione penale, alla quale dovevo presentarmi due volte al mese a seguito di una sentenza già giudicata illegale dalla Corte europea di diritti dell’uomo».
Nessuna buona azione resterà impunita, si dice. Nella Russia di Putin è vero più che altrove, più che mai. La Fondazione anticorruzione creata da Navalny era stata dichiarata fuorilegge. Aveva svelato a milioni di russi le ruberie colossali di imprese e banche statali, aveva rivelato come Denis Popov, procuratore di Mosca, prendesse mazzette, investisse soldi in ville e hotel in Spagna, possedesse una società immobiliare in Montenegro. Denis Popov è lo stesso che ha messo fuorilegge l’organizzazione anticorruzione.
Navalny in un video aveva denunciato le ricchezze del vicepremier Igor Suvalov: proprietario di un palazzo a Mosca, 10 appartamenti in uno sfarzoso grattacielo di epoca staliniana con vista sul Cremlino, un enorme appartamento a Londra di 11 milioni di sterline sulle rive del Tamigi, una villa in Austria e una quantità di Rolls Royce, un jet con cui si spostava portando con sè i cuccioli corgi ai concorsi canini internazionali.…

Ma soprattutto aveva rivelato l’esistenza della miliardaria Versailles putiniana a Gelendzik sul Mar Nero; aveva pubblicizzato le informazioni dettagliate su come Putin «vecchio percettore di mazzette, nonno demente, zar da 4 soldi» finanziasse la famiglia, i suoi hobby, le sue amanti. Le denunce sui social erano seguite da ritorsioni di ogni genere: per 6 anni gli era stato negato il passaporto, nel 2018 gli era stato impedito di candidarsi alle presidenziali.
Alexei Navalny aveva anche anticipato la possibilità di una sepoltura in una tomba senza nome. (Le autorità russe effettivamente hanno ricattato la madre, condizionando la possibilità di far effettuare un funerale segreto e seppellirlo in una fossa comune). In una visita in carcere della moglie Yulia, confessa:«C’è un’alta probabilità che io non esca più da qui. Anche se tutto inizia a crollare, mi faranno fuori al primo segno che il regime collassa. Mi avveleneranno». «Lo so. L’ho pensato anche io», risponde lei.
L’arresto del 17 gennaio 2021 era avvenuto al suo rientro in Russia dalla Germania, dove era stato trasportato il 22 agosto del 2020 dopo il suo avvelenamento con l’agente nervino mortale Novichok. Due giorni prima, durante un volo dalla città siberiana di Tomsk a Mosca, «all’improvviso si sente disorientato, sente il suo corpo chiudersi». Navalny viene ricoverato. Grazie all’insistenza di sua moglie e alle pressioni internazionali, le autorità russe permettono di portarlo all’ospedale universitario Charitè di Berlino.

Uscirà dal coma il 7 settembre. Starà in Germania per quasi 5 mesi. Durante la riabilitazione nella campagna tedesca, inizia a scrivere il volume di memorie, Patriot e a indagare sull’attentato alla sua vita. Tradotto dall’inglese, il libro è uscito in ottobre in Italia (per la Mondadori), quasi in contemporanea mondiale. Si narra che il primo ministro austriaco Clemens Von Metternich abbia così commentato Le mie prigioni di Silvio Pellico: «Quel libro ha danneggiato l’Austria più di una battaglia perduta». Non si sa quale sarà l’effetto della pubblicazione di Patriot. Il mondo e la Russia da tempo conoscono le memorie e l’eliminazione dei dissidenti russi: basti citare Arcipelago Gulag e La giornata di Ivan Denisovic, di Aleksandr Solzenicyn, il Diario russo di Anna Politkovskaja….. Patriot non è solo una biografia, né semplicemente un libro di memorie. È un vero testamento morale, un viaggio sconvolgente nella storia russa degli ultimi decenni, da Gorbačëv a Eltsin a Putin. È la dolorosa, scioccante, ma sempre ironica, discesa nei gironi infernali, spietati e ottusi dei sempiterni Gulag («A 100 km da Mosca esiste accogliente campo di concentramento»).
Navalny è stato processato senza sosta per accuse penali inventate. Nel marzo 2022 fu condannato a 9 anni presso una colonia penale di rigore per frode, nell’agosto 2023 con l’accusa di estremismo si beccò 19 anni in un carcere ancor più duro. Un suo giudice, Sergei Blinov, era famoso perché aveva emesso in 2 anni di processi, 130 verdetti di colpevolezza e zero assoluzioni. («Il che è leggermente al di sopra della media nazionale del 99% di condanne: gli imputati durante la Grande Purga avevano 20 volte più probabilità di essere assolti», scrive Navalny).

Dopo ogni condanna, Alexei veniva trasferito in un carcere diverso e le condizioni della prigionia peggioravano. Trascorse un anno in isolamento punitivo (il famigerato Shizo) per aver slacciato il primo bottone della tuta. («Un canile è il luogo in cui i prigionieri venivano mandati per essere torturati, stuprati con manici di scopa e talvolta uccisi»). Vi trascorse 295 giorni, senza telefonate né visite; carta e penna le riceveva per un’ora e mezza al giorno e in seguito per 30 minuti. È riuscito a passare i suoi appunti in modo rocambolesco.

«Il Cremlino sperava di poter seppellire Navalny nel sistema carcerario mentre ne infangava il nome e ne logorava il movimento», ha commentato il professore britannico Mark Galeotti, 59 anni, noto cremlinologo, finito sulla lista nera di Putin con altri 28 esponenti inglesi dell’informazione e della politica. Il Cremlino è riuscito a seppellire Navalny, non a ucciderlo. E ora il “principe dei dissidenti” sta combattendo dalla tomba. Ma perché si è rifiutato di vivere nella sicurezza dell’esilio? Perché è tornato in Russia dove ha vissuto la sua morte con un anticipo tremendo? «Ho il mio paese e le mie convinzioni. Non voglio rinunciare al mio paese o tradirlo. Se le tue convinzioni significano qualcosa, devi essere pronto a difenderle e a fare sacrifici se necessario». «Preferirei che non combattesse dalla tomba, ovviamente – ha commentato in diverse interviste la moglie Yulia, che porta avanti la battaglia di Navalny dall’estero (per sicurezza sua e dei figli Dasha e Zakhar) – Mio marito si è rifiutato di arrendersi e denunciando Putin come un gangster ha pagato il prezzo più alto. In prigione dovrebbe esserci Vladimir Putin, rinchiuso nella stessa cella 2 metri per 3 in cui ha ucciso Alexi».
Immagine di apertura: Alexei Navalny durante la corsa per l’elezione a sindaco di Mosca nel 2013; non vinse ma ebbe molti voti (foto di Ilyalsaev)