Bari 27 Novembre 2021
Il clima sulla Terra cambia periodicamente seguendo cicli naturali legati alla variazione di intensità della radiazione solare conseguente alla variazione di alcuni parametri dell’orbita terrestre. Questo dalla notte dei tempi. Ma è ormai incontrovertibile che i cambiamenti climatici in atto sono più drammatici di quelli che hanno contrassegnato la storia geologica del nostro pianeta.
L’incremento nella concentrazione di gas serra con punte estremamente alte, l’aumento della temperatura globale e il conseguente innalzamento del livello del mare, non sono stati mai così rapidi. Situazione ben evidenziata dai periodici rapporti del Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC), l’ultimo licenziato ad agosto. Ormai è chiaro che l’uomo con le sue attività sta contribuendo in maniera significativa a questi cambiamenti che si palesano con nubifragi, inondazioni catastrofiche, periodi di siccità sempre più intensi.

Le aree costiere, le più colpite, subiranno significative ingressioni marine legate allo scioglimento, ormai in atto, delle calotte glaciali, con drammatiche inondazioni delle città sui litorali. Rimanendo ad uno degli effetti più palesi legati al cambiamento climatico, nell’ultimo rapporto dell’IPCC si evidenzia che l’innalzamento del livello medio del mare, ormai irreversibile, è quasi il triplo di quello registrato nel corso del Novecento: fra il 1901 e il 2019, è stato di 20 centimetri, con un aumento medio annuo di 1,3 millimetri fra il 1901 e il 1971, di 1,9 millimetri tra il 1971 e il 2006, e, addirittura, di 3,4 tra il 2006 e i giorni nostri. Questi ritmi di innalzamento del livello del mare porteranno vaste aree costiere all’annegamento e a eventi catastrofici sempre più frequenti, con significative perdite di suolo. Emblematico a tal fine, un recente libro di Telmo Pievani e Mauro Varotto, Viaggio dell’Italia nell’Antropocene (Aboca editrice), che proietta l’Italia in un fantasioso e distopico anno 2786, con gran parte delle città costiere italiane annegate sotto metri d’acqua e altre, attualmente ben lontane dal mare, lambite dalle onde. È sicuramente, come affermano anche gli autori, uno scenario irrealistico, ma fa riflettere su come sia urgente porre rimedio ad una situazione che rende non scontato l’assetto futuro della Terra.

Quanto fin qui detto è ben messo in evidenza nel Sesto ed ultimo rapporto del Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC), licenziato a Ginevra come abbiamo detto in Agosto. Rapporto che ci restituisce una foto drammatica della situazione climatica e delle sue conseguenze: nei prossimi decenni la temperatura potrà subire un aumento di 1,5° C rispetto al periodo preindustriale; aumento che, se le emissioni di gas serra non verranno ridotte rapidamente, potrebbe addirittura arrivare a 2° C, producendo una vera catastrofe climatica.
Ad oggi, le emissioni di gas serra provenienti dall’attività antropica sono responsabili, rispetto alle temperature del periodo 1850-1900, di un aumento di 1,1° C. Queste emissioni, in continuo aumento dalla metà del Settecento ad oggi, hanno raggiunto punte significative negli ultimi anni: nel 2019 si sono registrati valori pari a 419 parti per milione (ppm) di Anidride Carbonica, di 1866 parti per miliardo (ppb) di Metano (CH4) e 332 ppb di protossido di Azoto, ben più alti rispetto a quelli delle ultime centinaia di migliaia di anni.

Oltre all’aumento della temperatura, all’innalzamento del livello del mare, altri elementi naturali sono fortemente condizionati dal riscaldamento globale: il ciclo idrologico dell’acqua, il riscaldamento degli oceani e degli specchi d’acqua, le ondate di calore, amplificate nelle aree urbane, lo scioglimento dei ghiacciai e del permafrost, la diminuzione della copertura nevosa stagionale con un evidente degrado delle risorse idriche a destinazione agricola e umana. In molte regioni le precipitazioni piovose aumentano a dismisura generando bombe d’acqua, inondazioni imponenti, con sempre più frequenti eventi catastrofici, come quelli che stiamo vivendo in questi giorni in Italia a Catania, nel Salento e nel Nord Italia. In altre regioni del mondo, specie in quelle subtropicali, aumenteranno i periodi di siccità, rendendo ancora più fragili quei territori da sempre soggetti a penuria d’acqua, con conseguenti risvolti sociali ed economici.
I cambiamenti climatici hanno un impatto significativo anche sul patrimonio storico-culturale. Come è stato ben evidenziato nel Quinto Rapporto IPCC del 2013, discusso nella Conferenza delle Nazioni Unite che si è tenuta a Parigi nel 2015 (la COP21). L’aumento delle precipitazioni, della temperatura, della velocità del vento, dell’umidità dell’aria e l’innalzamento del livello del mare mettono a dura prova i fragili (per modalità costruttive e per vetustà) beni culturali. L’aumento delle piogge genera diffusi e intensi processi di alterazione chimica e di disgregazione delle rocce che costituiscono i diversi manufatti ed è, al contempo, causa di instabilità dei versanti e, quindi, di rischio di frana per i beni culturali sorti in quelle aree.

L’Italia ha il maggior numero, ben 58, di siti riconosciuti patrimonio dell’umanità dall’UNESCO. Ma molti di questi sono fragili: gli ultimi censimenti condotti dall’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) hanno evidenziato che su 203.665 beni culturali censiti dall’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro, ben 37.847 sono soggetti a rischio di frana, pari al 16,7 per cento del totale. Fra questi rientrano alcune aree archeologiche fra le più apprezzate (Agrigento, Sassi di Matera) e stupendi centri storici (Volterra, Civita di Bagnoregio, Firenze, San Leo, Orvieto, tanto per citarne alcuni…..).
Ormai è chiaro: solo limitando l’uso di gas serra e di inquinanti e mettendo in atto buone pratiche di vita, possiamo sperare in una inversione di rotta che non ci porti all’estinzione. I risultati conseguiti con l’ultima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici appena conclusa a Glasgow (COP26) non autorizzano l’ottimismo.
Immagine di apertura: foto Pixabay