Milano 28 Giugno 2022
Dal 1° gennaio al 20 giugno di quest’anno sono stati 2.031 i casi del vaiolo delle scimmie confermati in laboratorio, incluso un decesso, segnalati all’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Il conteggio tiene conto del monitoraggio di 42 Stati membri sparsi tra Americhe, Africa, Europa, Mediterraneo orientale e Pacifico occidentale. Risale al 19 maggio il primo caso rilevato di un italiano colpito dal virus di ritorno da un viaggio nelle Canarie. E ora siamo a quota 71, con il maggior numeri di casi a Padova. C’è anche il primo caso in Sicilia e il primo in Svizzera, nel Canton Ticino.
L’OMS, come riporta un ampio articolo dall’ultimo numero dell’autorevole Lancet dedicato a questa nuova epidemia, ipotizza che il Vaiolo delle scimmie continuerà a diffondersi in Europa nei mesi estivi. E i governi si stanno attrezzando: il Belgio è stato il primo Paese a introdurre la quarantena obbligatoria: chiunque risulti positivo al virus deve isolarsi per 21 giorni. La Gran Bretagna sta distribuendo il vaccino agli omosessuali: “I soggetti più colpiti al momento”.

In realtà la situazione appare sempre più simile alla comparsa nell’umanità del virus dell’HIV , la causa dell’Aids. Ma solo per la principale modalità di contagio (sessuale) e per i soggetti maggiormente colpiti (gay). L’Agenzia Europea del Farmaco ha già autorizzato un preparato antivirale e un vaccino è stato approvato dall’Agenzia del farmaco USA, ci informa ancora il Lancet. Il Regno Unito ha acquistato oltre 20mila dosi di vaccino, che sta mettendo a disposizione delle persone venute a contatto con chi è stato colpito dal Vaiolo delle scimmie. Il vaccino andrebbe somministrato entro 4 giorni dall’esposizione al virus, anche se si pensa che sia efficace fino a 14 giorni dopo. La Commissione europea sta finalizzando un contratto per l’acquisizione di 110mila dosi, che saranno presto a disposizione dei Paesi membri.
Ma la preoccupazione cresce. Il 23 giugno l’OMS ha riunito il Comitato di Emergenza per valutare la portata del rischio (per ora, a livello globale ancora definito come “moderato”) e per cambiare nome al virus, come fatto più volte in passato, per non identificarlo con un Paese o con un animale. E ha anche chiesto agli esperti di fare modo che questa malattia infettiva sessualmente trasmessa non diventi motivo di stigma. Perché l’epidemia continua a colpire principalmente gli uomini che hanno rapporti sessuali con uomini.

Uno studio italiano dell’Istituto Lazzaro Spallanzani di Roma, e pubblicato su Eurosurveillance, la rivista scientifica dell’European Center for Disease Prevention and Control (ECDC), conferma “la presenza del virus nel liquido seminale di una persona affetta da questa malattia in una forma capace di replicarsi”.
Il Vecchio Continente si conferma quello con la maggior diffusione. In Italia sono finora 71 le persone che hanno contratto il virus dall’inizio dell’anno. Il Regno Unito, da solo, conta un quarto dei contagi totali, 524, seguito dalla Spagna con 313, dalla Germania con 263 e dal Portogallo, 241. È presente ormai in 19 Stati membri dell’Ue, più Norvegia e Islanda. Oltre i confini europei è il Canada il Paese col maggior numero di contagi (159), seguito dagli Stati Uniti (72). Nel dossier dell’OMS, inoltre, si segnala un caso probabile in Australia e un decesso in Nigeria.
«Intendiamo bloccare la trasmissione del virus da uomo a uomo e siamo in grado di farlo nei Paesi in cui il vaiolo delle scimmie non è endemico», dice Maria Van Kerkhove, responsabile delle malattie emergenti dell’OMS. E chiarisce: «Questa è una situazione completamente diversa rispetto alla pandemia Covid causata da un virus sconosciuto. In questo caso conosciamo il virus da oltre 60 anni». Ma chi ha portato il virus nelle zone focolaio? Spiega l’infettivologo milanese Massimo Galli: «Il virus è già venuto alla ribalta nel 2003, quando si registrò una piccola epidemia negli Stati Uniti, in Texas: a causarla fu l’importazione di un grosso ratto chiamato Cricetomys gambianus che delle persone volevano, bontà loro, tenere in casa come animale da compagnia». In realtà il Monkeypox, il virus del Vaiolo delle scimmie, è stato scoperto per la prima volta in una scimmia da laboratorio in Danimarca nel 1958. Tuttavia, è molto più comune in certi roditori che nelle scimmie. E come ci si contagia? Sempre Galli: «La trasmissione per via sessuale era sospetta e ora è confermata, ma potrebbe bastare anche la saliva di un bacio per contagiarsi, oltre ai contatti stretti, indumenti e lenzuola contaminati». Nota positiva: il virus del Vaiolo delle scimmie è un virus a Dna, quindi notevolmente più stabile rispetto a virus a Rna come quelli del SARS-CoV-2 e dell’influenza. Ha un grosso complesso proteico per agganciarsi alle cellule umane, ma la trasmissione può anche non verificarsi se il sistema immunitario dell’organismo è efficiente.

I sintomi del Vaiolo delle scimmie nell’uomo sono febbre, dolori muscolari, mal di testa, linfonodi gonfi, stanchezza e manifestazioni cutanee quali vescicole, pustole, piccole croste. Iniziano ad apparire tra i 5 e i 21 giorni dopo il contagio. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità la malattia si risolve spontaneamente in 1-2 settimane con riposo adeguato e senza terapie specifiche; possono venir somministrati degli antivirali quando necessario. L’infezione di solito è lieve e chi è vaccinato contro il vaiolo classico sarebbe protetto anche dal vaiolo delle scimmie. Lo dicono tutti gli esperti. In Italia, però, la vaccinazione antivaiolo è stata abolita nel 1981, quindi sono coperte solo le persone più anziane, il 40 per cento circa della popolazione. Ma, comunque, il vaccino esiste, in Italia abbiamo 5 milioni di scorte, e al momento è un’arma efficace come lo è stato contro il vaiolo umano.
Immagine di apertura: foto di Alessandra Koch