Milano 26 Marzo 2025

Sette donne sole. I mariti, i fidanzati, i fratelli sono lontani, a combattere una guerra che, nonostante le fanfare della propaganda, pare ormai destinata a essere persa. Sette donne che stentano a sopravvivere in un Paese stremato dalle bombe e dalla fame. E che di colpo si ritrovano, come per miracolo, davanti a una tavola imbandita. Piatti prelibati, gratuiti, con un unico inconveniente: potrebbero essere avvelenati.

Silvio Soldini, regista del film. Milanese, 66 anni, nel 2017 ha presentato, fuori concorso, al Festival di Venezia “Il colore nascosto delle cose” con Adriano Giannini e Valeria Golino (foto di Matteo Vegetti)

Le assaggiatrici, nuovo e bellissimo film di Silvio Soldini, racconta una storia vera che somiglia alla più nera delle favole. Storia terribile, tenuta nascosta per molti anni, rivelata solo in fin di vita dall’unica sopravvissuta del gruppo, Margot Wölk. Alla sua vicenda si ispira il romanzo di Rosella Postorino, edito da Feltrinelli, Premio Campiello 2018, da cui il regista milanese ora trae questo suo nuovo film, dal 27 marzo nelle sale. Siamo a Gross-Partsch, Prussia orientale, novembre 1943. Zona rurale, villaggi popolati solo da vecchi e da donne, la foresta intorno cintata da filo spinato, sorvegliata a vista da soldati pronti a sparare. Perché dentro quel groviglio di alberi e cespugli si cela la Tana del Lupo, il quartier generale di Adolf Hitler. Che da quel bunker segreto guida la guerra, si consulta con i suoi generali, gioca con il cane Blondi, un pastore tedesco, ça va sans dire, ascolta Beethoven o Wagner da un grammofono.

Il manifesto del film, nelle sale dal 27 marzo

E naturalmente pranza e cena ordinando al suo cuoco personale menu rigorosamente vegetariani, chiusi dai suoi dolci preferiti, al cioccolato, alle mele, alla panna. Ma il Führer, pur se circondato dai più fidi dei fidi, non si fida di nessuno. Ipocondriaco e paranoico, sospetta di chiunque, basterebbe un momento di distrazione dello chef perché una mano furtiva si allungasse a seminare il veleno nella minestra, nel purè, nello strudel. Per sventare il pericolo, non resta che la classica soluzione di tutti i tiranni e i potenti: far assaggiare cibo e bevande a qualche malcapitato.
Così, se gli uomini al fronte rischiano ogni giorno la vita, le donne a casa non saranno da meno. Senza chiedere permesso né tanto meno informarle sul loro destino, le SS scelgono con cura le candidate ideali. Che devono essere giovani, sane, di pura razza ariana. In un momento in cui la gente sopravvive a stento racimolando qualche rapa o patata, offrono pasti caldi e succulenti. E in più pure qualche soldo. Pagate per mangiare, sembra un sogno. Invece è un incubo, perché appena sedute alla mensa alle ragazze viene spiegato, fucili spianati, che non solo dovranno inghiottire tutto quello che troveranno sul piatto, ma anche fermarsi a tavola per un’ora. Il tempo necessario per verificare se la pietanza sia letale o meno. Dire di no è impossibile. Forchette e cucchiai si muovono lentamente, cercando invano di svicolare dal piatto così prelibato in apparenza. Trangugiato con terrore, ogni boccone va di traverso. Piuttosto di quel pasto maledetto tutte preferirebbero patire la fame.

Elisa Schlott interpreta Rosa. L’attrice tedesca è nota per il ruolo di Elena di Baviera nella serie televisiva “L’imperatrice” (foto di Luca Zontini)

Persino la devotissima al Führer, tutta casa, svastica e braccio teso, che a Natale gli manda cuscini ricamati con le aquile naziste, persino lei rinuncerebbe all’onore di tastare i piatti del suo eroe. Nel gruppo ciascuna ha la sua storia, di sofferenza e di speranza. Tentare di sopravvivere è l’obiettivo di ciascuna e ciascuna è pronta a tutto per scamparla. Tra le sette condannate a vita, a emergere è la figura di Rosa (Elisa Schlott), bionda, carina, detta “la berlinese”, che ha lasciato la città per tornare dai suoceri in attesa che il marito, inviato sul fronte russo, si ripresenti un bel giorno alla porta. E poi c’è Elfride (Alma Hasun), bruna, silenziosa, misteriosa. Tra lei e Rosa nasce un’intesa, si stabilisce un’alleanza. Solo a lei Elfride confiderà il segreto che, se risaputo, potrebbe farla uscire di scena all’istante: è ebrea. Ma anche Rosa ha un segreto. Dopo aver ricevuto la lettera in cui le annunciano che il marito è stato dato per disperso, il che pensando alle lande innevate della Russia, equivale a una dichiarazione di morte, si lascia andare. Stabilendo persino un legame ambiguo con un ufficiale, il tenente Ziegler, (Max Riemelt), che di notte va a trovarla.

Adolf Hitler mostra a Benito Mussolini (a sinistra) quel che resta della stanza delle riunioni della Tana del lupo dopo l’attentato di Stauffenberg del 20 luglio 1944

L’abilità narrativa di Soldini è, come capita nei grandi film, vedi Il figlio di Saul, Quel giorno tu sarai, La zona d’interesse, raccontare la banalità del male senza cadere in giudizi manichei. L’atmosfera di terrore e di sospetto che si vive nella Tana del Führer lascia intendere che non tutti sono dalla sua parte, che deve guardarsi persino tra i suoi ufficiali. L’esplosione di una bomba proprio vicino al bunker nella foresta, il famoso attentato di Stauffenberg a cui Hitler scampò per puro caso, è la prova che persino un colonnello della Wehrmacht aveva provato a ribellarsi, a porre fine a tanta follia. E intanto, nel drappello degli ufficiali incaricati di sorvegliare le assaggiatrici, circolano storie agghiaccianti, di soldati che nei campi non reggono l’orrore, e impazziscono o si suicidano.
La coscienza talora si fa sentire anche tra i “carnefici”, e se si vuol capire come è andata davvero bisogna avere il coraggio di osare i debiti distinguo. Vale per ogni capitolo della storia, nel passato e nel presente.

Immagine di apertura: Rosa (Elisa Schlott) e Elfride (Alma Hasun) in una scena del film Le assaggiatrici per la regia di Silvio Soldini (foto di Luca Zontini)

Nata a Venezia, giornalista professionista di lunga militanza in Cultura e Spettacoli del "Corriere della Sera" con cui tutt'ora collabora. Specialista di musica e di cinema, ha seguito per circa 30 anni i principali festival europei, da Cannes a Venezia a Berlino. Per la casa editrice Guanda ha scritto in coppia con Dario Fo quattro libri, "Il mondo secondo Fo", "Il Paese dei misteri buffi", "Un clown vi seppellirà", "Dario e Dio". E da sola, sempre per Guanda, è autrice de "Nel giardino della musica. Claudio Abbado: la vita, l'arte, l'impegno", "Ho visto un Fo" , di "Complice la notte" dedicato alla grande pianista russa Marija Judina. nel 2021, e per la Nave di Teseo del recente "La Bambolaia"

1 commento

  1. Nessun confronto possibile con il magistrale “La zona d’interesse” . Qui invece il sesso è irreale e letteralmente inflitto alla spettatrice/ spettatore, a norma delle maggiori fantasie maschili, con Rosa che ansima ancor prima che il tenente nazista la tocchi con urla e gemiti spropositati (di entrambi). Nessun confronto possibile anche col “Portiere di notte” di Liliana Cavani con simile tematica. Che rimane però insuperato. Peccato perché le “Avvelenatrici” per altri versi è pregevole.

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