Emergenza coronavirus, obiettivo primario è fermare il contagio, ma la vera emergenza è l’organizzazione sanitaria del Nord Italia ormai al collasso. Scrive la rivista Lancet: l’Italia ha bisogno di 4.000 posti letto in terapia intensiva entro le prossime tre settimane. Sono le previsioni di uno studio condotto dall’Istituto Mario Negri di Milano in collaborazione con l’università di Bergamo. La Lombardia risponde con un nuovo ospedale da 500 posti letto di terapia intensiva nell’area dove si è svolto l’EXPO. Il Padiglione 1 e il Padiglione 2 saranno trasformati in un ospedale al momento totalmente dedicato alla terapia intensiva. Sempre a Milano, il San Raffaele ha ricevuto donazioni per una struttura dedicata al Covid-19. E a Roma, il Policlinico Gemelli sta attrezzando nuovi posti di terapia intensiva al Columbus Covid 2 Hospital, un ospedale realizzato a tempo di record dallo staff tecnico dell’Irccs.
E per chi ha criticato negli anni scorsi la politica dei tagli alla sanità, Covid-19 è come un nodo che arriva al pettine. Perché i tagli sono utili solo se scientifici, e non politici. Se servono a eliminare i mediocri e a rilanciare i meritevoli, se operati in base a una programmazione da Paese moderno e non burocraticamente medioevale. Perché ora banco di prova è una Regione considerata “forte” in Sanità, ma chiediamoci che cosa potrebbe accadere in Regioni del Sud, da dove normalmente si migra al Nord per farsi curare e che invece ora hanno visto una migrazione di corregionali dal Nord, dalle “zone rosse”, infischiandosene letteralmente di divieti e quant’altro. Se saranno “untori” lo si vedrà presto.

Per far fronte all’emergenza Covid-19, il governo sta predisponendo un piano per aumentare del 50% il numero dei posti letto in Terapia Intensiva, che nel 2017 (ultimo dato disponibile) in Italia erano circa 5.100. In generale, il numero dei posti letto, tra strutture pubbliche e accreditate, era di oltre 192 mila, in calo però del 30% rispetto al 2000. Da questo punto di vista siamo attualmente sotto la media Ue. In base ai dati Eurostat e Ocse, tra il 2000 e il 2017 (ultimo anno disponibile) nel nostro Paese il numero dei posti letto pro capite negli ospedali è calato di circa il 30 per cento, arrivando appunto a 3,2 ogni 1.000 abitanti, mentre la media dell’Unione europea è vicina a 5 ogni 1.000 abitanti. I posti letto destinati alla terapia intensiva erano due anni fa 5.090, circa 8,42 per 100.000 abitanti.
Purtroppo, i tagli sono stati spesso miopi. In alcuni casi si è buttato “il bambino con l’acqua sporca”, confondendo, nella logica dei tagli, gli sprechi con ciò che non solo serviva ma che addirittura sarebbe stato utile aumentare.
Franco Toscani, anestesista e rianimatore in pensione poi dedicatosi alla terapia del dolore e alle cure palliative ricorda gli inizi della Terapia Intensiva: «Nel 1970 a Pavia c’erano 3 letti in un sottoscala, poi nei primi anni Ottanta a Cremona avevo 8 posti letto di rianimazione, ma arrivavano solo sopravvissuti a gravi incidenti e pazienti in post-operatorio. Infartuati e colpiti da ictus non arrivavano proprio, spesso morivano prima. Poi si sono cominciati a creare letti di terapia intensiva nelle unità coronariche, nelle Stroke Unit, nelle pediatrie, le camere isolate per gli infettivi come i primi con l’Hiv. In seguito, grave penalizzazione del pubblico e spostamento verso il privato di tutte le specialità più ‘redditizie’, senza però chiedere ai fini delle convenzioni i posti di terapia intensiva e rianimazione. Un letto in terapia intensiva ha un costo e ha bisogno di personale specializzato. Al privato conviene fino a un certo punto. Ma nel pubblico con attività ridotta si sono cominciati a tagliare i posti e anche a pianificare meno personale specializzato per questi reparti. Risultato? Quello che accade oggi. Peraltro sono anni che si prevede una pandemia del genere, la Sanità poteva attrezzarsi anche obbligando i privati convenzionati ad avere posti letto e personale ad hoc».
Conclude Kai Zacharowski, presidente dell’ESA (European Society of Anaesthesiology) e Direttore del dipartimento di anestesia, terapia intensiva e terapia del dolore, ospedale universitario di Francoforte: «La carenza di letti di terapia intensiva riguarda tutta l’Europa. Nell’ultimo decennio abbiamo ridotto i letti degli ospedali, compresi quelli di terapia intensiva. E ora ci stiamo rendendo conto che non ne abbiamo abbastanza. Se avessimo organizzato e distribuito le attrezzature al momento giusto, i Paesi avrebbero potuto evitare la situazione che si è creata in Italia. E ora si cerca di correre ai ripari in tutta fretta. Ma attrezzature come i ventilatori automatici hanno bisogno di componenti di solito fornite dalla Cina, che finora si era bloccata, e molte aziende tedesche che li producono non possono rispondere alle ordinazioni senza le forniture cinesi. Sono anche queste le conseguenze di una pandemia. A un certo punto non basta avere soldi».

Immagine di apertura: a Milano e a Roma si stanno allestendo in tempo record ospedali per i pazienti colpiti da Covid-19 (foto di Silas Camargo Silao)

Scomparso improvvisamente nel 2022, era giornalista e scrittore. Nato a Roma nel 1954, si occupava di informazione medico-scientifica e sanitaria dal 1976. Ha legato gran parte della sua carriera al "Corriere della Sera". Negli ultimi anni dirigeva URBES, primo magazine italiano che si occupa di salute nelle città. Insieme a Umberto Veronesi, ha scritto "Una carezza per guarire" (Sperling & Kupfer 2004), "Le donne vogliono sapere" (Sperling & Kupfer 2006), "L’eredità di Eva" (Sperling & Kupfer 2014), "Verso la scelta vegetariana" (Giunti 2011), "I segreti di lunga vita" (Giunti 2013), "Ascoltare è la prima cura" (Sperling & Kupfer 2016). Suoi anche "L’Artusi vegetariano "(TAM editore, 2016) e "L’orto di Michelle" (Universo Editoriale, 2017) scritto con Federico Serra. L'ultimo, “Il genio in cucina” (Giunti editore, 2019)

1 commento

  1. Analisi esatta come sono vere le sue parole…speriamo che questo periodo faccia cambiare alcune teste e in futuro si rimedi agli errori del passato.

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