Milano 25 Aprile 2021
«Voglio scrivere di chi si prende cura dei più fragili. Mi aiuta il lockdown, il confinamento obbligatorio del Covid-19. Con la stessa passione che mi ha spinto nello scrivere il libro precedente, Il mio viaggio nella Sla. Con la stessa urgenza di dare voce agli invisibili, con la stessa determinazione di portare alla luce il dramma e l’amore di queste persone. Dal mio punto di vista niente pietismo, solo un’etica civile. La vicenda della pandemia mi permette di studiare, mi fa annodare tanti fili sul tema del prestare cura ai malati, ai non autosufficienti». Comunque, dare voce a un popolo senza voce. Il libro di Antonio Pinna, ex preside, giornalista pubblicista e scrittore, La cura ai tempi del Covid-19, edito da Maggioli, ha un sottotitolo esplicativo: “Prendersi cura dei più fragili. Anziani, disabili e caregiver familiari nella pandemia”.

Un titolo d’attualità che però non è che il racconto di una storia antica per l’organizzazione sanitaria italiana e di una storia più recente percorsa in prima persona dallo stesso Pinna, segnato dall’esperienza della sorella Claudia, malata di Sclerosi Laterale Amiotrofica (Sla), morta nel 2012. In realtà questo libro prende spunto dalla pandemia per un viaggio nel nostro Paese (e non solo) tra le persone con disabilità, anche non autosufficienti, evidenziando i problemi non risolti del sistema. Il percorso si sviluppa tra vari tipi di pazienti: con malattie neurodegenerative, demenze, disturbi psichici, malattie psichiatriche, persone Down, sindromi dello spettro autistico, ciechi, sordi. Su questo tema l’autore presenta le esperienze e le soluzioni adottate recentemente in Germania e in Francia. Il volume affronta, tra l’altro, il tema della qualità dell’assistenza territoriale e familiare con la valutazione di esperti e famiglie. Illustra un modello regionale ben strutturato ed efficace nella prossimità dei servizi e nel sostegno ai caregiver: l’Emilia-Romagna.

Dove il piano regionale, con la consulenza di Paesi come la Francia e l’Australia, tenendo conto di una realtà di malati cronici e anziani che vivono da soli, assistiti da badanti o familiari, ha creato una rete supportata dall’intelligenza artificiale che porta gli specialisti, quando servono, virtualmente in casa dell’assistito e con l’ausilio della cartella clinica elettronica riesce a verificare, informare, correggere, se serve, i trattamenti. Un portale che forma e informa, non lasciandoli soli, i caregiver. Così la burocrazia socio-sanitaria è snellita, ridotta al minimo. Il tutto con la massima sicurezza in fatto di privacy online. In alcune realtà estere la telemedicina, i teleconsulti e perfino alcuni test diagnostici avvengono con l’ausilio dell’intelligenza artificiale. E prevenzione, assistenza e riabilitazione a domicilio sono la prassi. Ma andiamo oltre il libro, ottimo spunto, ed entriamo nel problema.
In Paesi diversi dal nostro, un sistema deospedalizzato, impostato sul domicilio e il territorio, ha funzionato perfettamente anche durante la pandemia. Nei kibbutz israeliani pazienti covid gravi e meno gravi sono stati curati in casa, anche grazie a unità di terapia intensiva mobili, macchinari installati in casa e collegamenti 24 ore su 24 con centrali di controllo in ospedale. In alcune zone australiane la prima diagnosi si effettua con mezzi virtuali poi, se l’emergenza è grave, parte l’elicottero che da dove si trova trasporta il paziente all’ospedale più vicino o a quello specializzato per quel tipo di intervento. Un sistema che è stato di grande aiuto anche nella pandemia.

In alcune città tedesche, i malati di Covid 19 sono stati curati a casa grazie ai Covid-taxi, ossia unità mobili attrezzate per assistere i contagiati con sintomi non gravi. Ovviamente, questo è stato un grande vantaggio per i malati cronici, quelli con malattie invalidanti, i pazienti con tumore, i cardiopatici, i diabetici, gli immunocompromessi.
E in Italia? Purtroppo, tutto ciò era sulla carta prima della pandemia e così per ora è rimasto. Più di 2 pazienti su 5 raccontano di visite, esami o interventi cancellati; più di un paziente su 3 ha avuto difficoltà a restare in contatto con gli specialisti e i centri di riferimento per la sua patologia. Per mesi gli ospedali sono diventati fortini contro il Covid-19, di fatto meno accessibili agli altri malati. Oltre 400mila interventi chirurgici rinviati, almeno 11 milioni di visite e accertamenti arretrati da smaltire, screening e follow-up bloccati o che procedono al rallentatore. Un esempio tra i tanti possibili: la pandemia ha fatto registrare una riduzione del 48,4 per cento dei ricoveri per infarto miocardico; peccato che nello stesso periodo la mortalità per questa malattia sia triplicata.
Garantire più innovazione, ospedali di qualità e servizi di prossimità e ridurre la burocrazia sono alcune delle soluzioni per non tornare indietro. Ma occorre cominciare a lavorarci.
Immagine di apertura: foto di Adamtepl