Milano 27 Gennaio 2025

ll titolo è bellissimo ma un po’ fuorviante: Il mio giardino persiano, da poco in sala per Academy 2, evoca scenari botanici da mille e una notte. Ma quello di Mahin, protagonista del film di Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeera, registi iraniani in coppia anche nella vita, è un fazzoletto di terra rigoglioso quel che basta per rallegrare la sua proprietaria, una settantenne ancora prestante ma molto sola.

i due registi del film, compagni anche nella vita. Maryam Moghaddam, nata a Teheran, attrice e regista. Behtash Sanaeera, di Shiraz,  noto sceneggiatore

Vedova da trent’anni, Mahin (la magnifica Lily Farhadpour) ha confinato la sua vita in quel recinto verde che cura con amore, visto che gli unici esseri viventi rimasti a farle compagnia sono le piante. C’è una figlia, è vero, ma vive all’estero con la sua famiglia e sentirla al telefono non basta. Ci sono delle amiche, che però abitano lontano e Teheran è troppo grande per vedersi abbastanza da colmare il vuoto che ciascuna si porta dentro. Quando si ritrovano è una festa per tutte. Mahin cucina le sue specialità, e soprattutto la torta per cui va famosa, che sa di arancia e cardamomo, a cui è dedicato il titolo originale, My favourite cake. Si mangia, si ride, si spettegola. Di nuovo ragazze in barba al tempo. Ci si dimentica degli acciacchi, si fantastica su nuovi incontri, nuovi amori. Poi ciascuna torna a casa sua, alla malinconica routine di donne sole in un Paese dove già l’essere donna è una condanna.

Mahin ne ha viste tante, ma non si rassegna. Con coraggio interviene in difesa di una ragazza fermata dalla polizia morale per una ciocca di capelli sfuggita dal velo. Con determinazione invita la giovane a non arrendersi, a sfidare regole e convenzioni. «Fatti sentire – le suggerisce prima di salutarla – più tu accetti il loro potere, più loro ti schiacceranno».

Mahim (la splendida Lily Farhadpour) ogni tanto invita a casa le amiche a passare qualche ora insieme ma è, in realtà, molto sola

Un monito che, da lì a poco, metterà in pratica per se stessa. Complice il caso e una zuppa in una mensa, il suo sguardo incrocia quello di un anziano tassista che ha tutta l’aria di non passarsela granché bene. La simpatia è immediata. Due cuori solitari si riconoscono, si avvicinano, iniziano a battere in sincrono. E Mahin stavolta decide di non voltare le spalle al destino. Nonostante i costumi lo vietino, è lei a prendere l’iniziativa, a invitare l’uomo a casa sua. Faramarz (Esmail Mehrabi) non si fa pregare. Timido, incredulo di quel che sta succedendo, la segue trepidante. Magari con l’accortezza di entrare dal retro per scansare gli sguardi indiscreti dei vicini che non si fanno mai i fatti loro.

Mahin alle prese con la sua” favourite cake” a base di arancia e cardamono che dà il titolo originale al film

Rotti i primi argini il resto non si può più fermare. Tutto in una notte succedono miracoli, cadono tabù. Un uomo e una donna quasi vecchi si riscoprono giovani e innamorati. Lei gli offre il vino proibito, nascosto per le grandi occasioni, mette su dischi di musica ballabile, vietatissima, e lo trascina in una goffa danza, dove le mani si toccano, i corpi si sfiorano. E ancora, prepara per lui la sua favourite cake e, mentre il dolce cuoce, apre l’armadio dei vestiti perduti, quelli che non mette mai perché mai c’è l’occasione, indossandoli uno dopo l’altro per il suo corteggiatore. Che, incantato, la rimira. La musica e il vino fanno tornare a galla ricordi felici, strappano sorrisi, spingono a sognare, a immaginare un futuro. Che forse non ci sarà. Ma quel che conta è il presente, quella notte magica per entrambi. Dove esistono loro e solo loro. Tutti gli altri, i vicini spioni, i poliziotti bigotti, la repubblica islamica feroce e misogina, sono chiusi fuori. Dalla porta di casa, dalla gioia e dalla libertà di chi ama e ostinatamente prova a essere felice. Una rivoluzione privata, e quindi quanto mai politica, temibile quasi come quella che ogni giorno fa scendere nelle strade sempre più gente, sempre più donne.

Mahin (Lily Farhadpour) invita Faramarz (Esmail Mehrabi) a casa, gli offre il vino, la musica e si lascia andare alle sue emozioni

Prova ne è il travagliato iter del film, girato in semi clandestinità, sotto l’incubo di una censura in costante agguato con il suo infinito elenco di regole limitanti. Sistematicamente violate dagli autori a cui infatti è stato ritirato il passaporto in modo da non poter accompagnare il loro film allo scorso festival di Berlino, dove ha ricevuto vasti consensi di critica e pubblico, oltre al premio Fipresci. Una storia d’amore e ribellione, sulla bellezza delle piccole cose, la vitalità delle donne. E la forza di un desiderio che non conosce l’età, sempre fragrante come una torta che levita piano nel forno.

Immagine di apertura: Mahin (Lily Farhadpour) e Faramarz (Esmail Mehrabi) in una scena del film Il mio giardino persiano 

° Tutte le foto del servizio sono di Hamid Janipur

 

Nata a Venezia, giornalista professionista di lunga militanza in Cultura e Spettacoli del "Corriere della Sera" con cui tutt'ora collabora. Specialista di musica e di cinema, ha seguito per circa 30 anni i principali festival europei, da Cannes a Venezia a Berlino. Per la casa editrice Guanda ha scritto in coppia con Dario Fo quattro libri, "Il mondo secondo Fo", "Il Paese dei misteri buffi", "Un clown vi seppellirà", "Dario e Dio". E da sola, sempre per Guanda, è autrice de "Nel giardino della musica. Claudio Abbado: la vita, l'arte, l'impegno", "Ho visto un Fo" e del recente (2021) "Complice la notte" dedicato alla grande pianista russa Marija Judina.

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