Milano 23 Settembre 2020
Adesso che il prossimo arrivo dei 200 miliardi di euro del Recovery Fund ha scatenato gli interessi della politica, della finanza e dell’industria, è tornato di moda parlare del ponte sullo Stretto di Messina. Una chimera che (per rimanere nella mitologia della zona) ha il suono ammaliante delle sirene per alcuni e il vorticoso pericolo del mostro Cariddi per altri. Una contrapposizione netta, a volte più ideologica che ragionata, alla quale si aggiunge una terza categoria: quella dei “benaltristi” o “primaltristi” (prima del ponte occorre fare questo o quello), che trovano manforte nei finti favorevoli o rimandatari all’infinito, ovvero coloro che si dichiarano pro infrastruttura, ma ridiscutono tutto, facendo diventare il progetto definitivo – esistente, cantierabile e a suo tempo affidato al consorzio Eurolink, che dopo il blocco del 2013 vuole un risarcimento milionario dallo Stato – una sorta di tela di Penelope. Ora il Presidente del Consiglio si è “innamorato” dell’idea del tunnel sottomarino e la Ministra De Micheli ha nominato una commissione «per esaminare le possibili alternative», con consegna del parere a fine ottobre a fronte della scadenza del 15 ottobre per il Recovery Fund.

Su un tema così divisivo, per il quale tornano in primo piano le logore contrapposizioni tra Nord e Sud, abbiamo sentito pareri diversi. Giacomo Guglielmo, messinese, ingegnere esperto in mobilità, trasporti, infrastrutture e fondi Sie (fondi strutturali europei, di cui è responsabile del monitoraggio della spesa per ricerca e innovazione del Miur), combatte da anni la battaglia del sì con il motto “Ponte e Libertà!”: ritiene gli isolani “prigionieri” della mancanza di infrastrutture in generale e del ponte in particolare. «Lʼopera – spiega – costerebbe intorno ai 4 miliardi di euro (c’è chi dice il doppio, ndr), consentirebbe di ridurre in misura considerevole i tempi di attraversamento dello Stretto e garantirebbe migliaia di posti di lavoro, nuovi impulsi all’economia asfittica del comprensorio e, non meno importante, uguali diritti agli utenti, al momento divisi tra chi può permettersi di viaggiare in aereo e chi invece deve utilizzare il pullman o i pochissimi treni ancora a disposizione». Non solo: «Per quanto concerne le merci, i porti siciliani diventerebbero quelli dell’Europa meridionale più vicini a Suez e non sarebbero più gli inutili, dal punto di vista commerciale, scali di un’isola. Questo consentirebbe di risparmiare diversi giorni di navigazione verso Rotterdam, Anversa, Amburgo e i piccoli Genova, Marsiglia e Trieste, intercettando almeno il 20 per cento delle merci da distribuire nell’Europa del Sud».

Si può aggiungere che la presenza del ponte renderebbe necessaria la realizzazione dell’alta velocità ferroviaria in Calabria, dando al sottoutilizzato porto di Gioia Tauro l’importanza che dovrebbe avere. La cosa non appare gradita alla politica settentrionalistica che vuole preservare Genova e Trieste. In realtà, l’intercettazione di un traffico navale mercantile maggiore darebbe vantaggi a tutta l’Italia. Contrario al ponte è Guido Signorino, ordinario di Economia applicata, Dipartimento di Economia, nell’Università di Messina: «Un’opera pubblica è uno strumento che provoca effetti sul territorio, sull’economia, sulla società. Per decidere se va fatta (con impiego di risorse pubbliche) o no, non bastano sogni, idee, convinzioni, pre-giudizi. Occorre una valutazione che tenga conto di tutti questi effetti. Se il complesso di quelli positivi supera il totale dei negativi, ha senso che la Società affronti il costo della realizzazione; se, invece il segno “meno” dovesse prevalere sul segno “più”, l’opera non andrebbe realizzata. La valutazione si fa con la metodologia dell’analisi costi-benefici. Questa regola vale per tutte le opere pubbliche, compreso l’attraversamento stabile dello Stretto. Al momento il progetto disponibile è solo quello del ponte, del quale si ha un “definitivo”, redatto nel 2012. Quel progetto aggiornava il precedente (2001), che conteneva un’articolata analisi costi-benefici, secondo la quale il ponte sarebbe stato in “attivo sociale” in tre scenari su quattro. Ma è sufficiente guardare le ipotesi su cui la costruzione di quegli scenari si basavano per verificare che erano ottimistici». E quindi? «Una puntuale valutazione in questo senso era stata presentata da uno studio della Cattolica di Milano nel 2004, e il tempo intercorso gli ha dato ragione. Non basta che i progetti siano “belli”, occorre che siano utili e sostenibili, valutazione che deve essere rimessa laicamente all’analisi costi-benefici. Che, in questo caso, è in perdita».

E il tunnel sottomarino, di cui si è tornato a parlare, ha senso? Sembra proprio di no, come ci ha spiegato Francesco Sdao, ordinario di Geologia applicata nella Scuola di Ingegneria dell’Università della Basilicata: «Il tunnel è al momento solo un’idea progettuale, troppo ottimista, e non un progetto. Sono contrario per vari motivi: geologici, sismici, geomorfologici. Le rocce costituenti i fondali sono interessate da un vero e proprio mosaico di faglie attive, ci sono frequenti terremoti, anche di magnitudo significativa, i versanti sommersi sono interessati da grandi frane sottomarine. Ancorare una struttura rigida in quella zona è impensabile. Inoltre, ci sono troppe pendenze da superare, non adatte all’alta velocità ferroviaria, che richiederebbero un percorso di molti chilometri». Invece, il ponte sospeso? «In questo caso il progetto c’è e quindi ci si può ragionare. L’ingegneria civile italiana è tra le migliori al mondo e quindi è sicuramente fattibile. Semmai ho altri dubbi». Quali? «L’impatto ambientale, provocato anche dal convogliamento del traffico gommato, e i riflessi sull’occupazione locale, nel compartimento marittimo. Ma non sono fra quelli che ritengono giusto dire sempre no».
Immagine di apertura: come dovrebbe presentarsi il ponte sospeso sullo stretto di Messina
Tutte le immagini del servizio sono elaborazioni grafiche tridimensionali al computer (rendering) della Società Stretto di Messina