Pavia 27 Aprile 2024
Il miraggio è un’illusione ottica naturale, un fenomeno atmosferico che si verifica, in particolari condizioni, in ampi spazi piani, rendendo visibile l’immagine di oggetti lontani apparentemente riflessi in una superficie liquida posta ai loro piedi o fluttuanti nel cielo.
La rifrazione dei raggi del sole deve creare questo effetto agli occhi del visitatore che si avventura nel vasto deserto del Texas, negli Stati Uniti, e scorge all’orizzonte Marfa. Questa piccola città, situata tra i monti Davis e il Big Bend National Park, non lontano dal confine messicano, fu fondata agli inizi del 1880 come fermata per il rifornimento d’acqua delle locomotive a vapore e prende il nome da Marfa Strogoff, un personaggio del romanzo Michele Strogoff di Jules Verne. Dagli Anni Venti del Novecento la città subì una forte crescita grazie alla presenza di basi di addestramento militare che, con la fine del secondo conflitto mondiale e l’arrivo di un’improvvisa siccità, chiusero i battenti nel 1945, segnando il declino della città.

Il destino di Marfa visse una nuova primavera nel 1971, anno in cui Donald Judd la visitò per la prima volta. Donald Clarence Judd (1928-1994) – artista statunitense, considerato ancora oggi uno dei massimi esponenti del Minimalismo, le cui idee radicali influenzano tuttora artisti, architetti e designer – si trasferì a Marfa definitivamente nel 1977 dopo aver acquistato terreni e diverse proprietà abbandonate da destinare all’arte. La Chinati Foundation vide la luce nel 1986 con l’intento di preservare e presentare al pubblico opere a grande scala di un ristretto numero di artisti. Il museo si fonda sull’idea, fortemente sostenuta da Judd, del legame indissolubile tra paesaggio e opera d’arte, della fragilità della natura di alcune installazioni che, allontanate dal proprio luogo di origine, perdono parte della propria essenza. Gli ampi spazi della Fondazione, gli edifici così come i campi circostanti, non sono altro che il luogo sacro dell’arte, un frammento nel panorama contemporaneo dove poter osservare con esattezza la misura del rapporto tra luogo e oggetto.

Gli spazi museali, inizialmente concepiti per l’esposizione del lavoro di Donald Judd, John Chamberlain e Dan Flavin, oggi vantano una collezione che include le opere di Carl Andre, Ingólfur Arnarsson, Ilya Kabakov, Richard Long, Claes Oldenburg and Coosje van Bruggen, Roni Horn, David Rabinowitch, Robert Irwin e John Wesley.
Le installazioni della Fondazione Chinati stanno all’arte come la poesia sta alla letteratura, sono il risultato di un lungo lavoro di ricerca dell’essenzialità nelle differenti interpretazioni dei vari artisti; in questo luogo le opere trovano il vero senso d’essere e vibrano all’unisono con il paesaggio che le ospita, assecondandone variazioni di luce e colore. Esemplare è l’opera di Judd 100 untitled works in mill aluminum, 1982-1986, una serie di cento parallelepipedi in alluminio identici tra loro e disposti con rigoroso ordine tra le campate dell’edificio che l’ospita: il riflesso del paesaggio esterno sulle superfici metalliche smaltate sembra richiamare ai miraggi che si verificano nelle giornate più torride del deserto che circonda la città.

Benché l’installazione della Chinati Foundation e della Judd Foundation a Marfa fosse stata dettata da un puro senso di coinvolgimento estetico di Judd con il paesaggio e il panorama rurale e dalla volontà di stabilirsi in un luogo isolato e lontano dalla New York da cui proveniva, la loro apertura decretò la rinascita e il rilancio della città come nuovo polo artistico, facendone ben presto una meta ambitissima per pionieri e pellegrini del mondo dell’arte. Nonostante i meno di 1800 abitanti censiti nel 2020, questa minuscola realtà urbana ospita gallerie d’arte, eleganti ristoranti, locali alla moda ed eventi di grande risonanza che attirano artisti, designer, registi e investitori. Nonostante Marfa abbia goduto economicamente dell’onda di turismo artistico ancora molto consistente, la vita dei residenti storici è stata messa a dura prova dall’aumento del costo della vita. L’iconica installazione permanente Prada Marfa, realizzata nel 2005 dagli artisti scandinavi Michael Elmgreen e Ingar Dragset, fu pensata proprio come una critica al capitalismo che ha alterato le dinamiche della città originale: la riproduzione di una piccola boutique della celebre casa di moda collocata in mezzo al nulla, lungo un’autostrada del Texas occidentale, è la denuncia del consumismo che arriva ad appropriarsi di luoghi incontaminati.

Marfa vive una dicotomia inedita: una realtà cittadina i cui confini sono rimasti invariati dalla sua fondazione, circondata da una vallata di campi aridi battuti da pascoli bovini e raramente accarezzata dal vento ma animata, negli interni dei locali pubblici, dalla medesima vita di Brooklyn Williamsburg. L’unicità della Marfa odierna non è riproducibile altrove, proprio come un’opera d’arte che non può appartenere se non a se stessa e al proprio luogo.
Immagine di apertura: Michael Elmgree e Ingar Dragset, Prada Marfa, 2005, Deserto di Chihuahua, Texas, foto di Matt Slocum