Milano 27 Gennaio 2025

Il giornalismo (e i giornalisti) di oggi non serviranno più? Probabilmente sì. E in un tempo non molto lungo. L’amara riflessione nasce dopo aver letto il capitolo “Comunicazione e media” del 58° Rapporto del Censis (Centro Studi Investimenti Sociali, istituto di ricerca socio-economica, fondato nel 1964) che riguarda l’anno appena finito.
L’analisi evidenzia linee di tendenza già note (la crisi dei quotidiani) ed altre emergenti (l’esplosione dell’informazione via smartphone).

I quotidiani registrano già da qualche anno un impressionante declino di vendite e, stando agli ultimi dati Censis, oggi vengono letti soltanto dal 22 per cento degli italiani (foto Pexels)

Vediamo i dati. I quotidiani cartacei venduti in edicola, che nel 2007 erano letti dal 67 per cento degli italiani, si sono ridotti al 22 per cento nel 2023 (meno 45 per cento in quindici anni). Prima sorpresa: anche gli utenti dei quotidiani online diminuiscono: sono il 30,5 per cento degli italiani (-2,5% in un anno), mentre sono stabili quanti utilizzano i siti web d’informazione generici.
Tra i giovani (14-29 anni), che probabilmente sono i protagonisti di questi cambiamenti, si registra un consolidamento nelle abitudini di impiego delle piattaforme online. Il 93 per cento utilizza WhatsApp, il 79,3 per cento YouTube, il 72,9 Instagram, il 56 TikTok. In lieve flessione le altre piattaforme a partire da Facebook.
Ma il dato più rilevante è che l’83,7 per cento degli italiani si informa utilizzando lo smartphone (il primo IPhone è del 2007).

Una riunione di redazione nella storica Sala Albertini del “Corriere della Sera” a Milano. Un’immagine che sembra già anacronistica (foto: LaPress)

Scrive il rapporto: «Di questi, il 37,9 per cento preferisce effettuare una ricerca mirata, il 28,2 per cento invece consulta diverse fonti per disporre di un quadro completo e esaustivo, il 25,4 per cento legge sullo smartphone interi articoli e solo il 13,2 per cento si limita ai titoli, il 12,3 legge anche i commenti dei lettori e dei follower, il 12,1 guarda prevalentemente i video (è il pubblico più giovane: il 16,7 per cento nella fascia tra i 14 e i 29 anni), l’8,1 per cento guarda solo le immagini (il 9,7 per cento tra i giovani), il 5,2 commenta articoli e scrive post».

Oltre l’80 per cento degli italiani cerca informazioni prevalentemente sullo smartphone (foto di Erik_ Lucatero)

Il Rapporto suddivide gli utenti tra lettori e visualizzatori: «I visualizzatori sono ancora una minoranza, ma destinata a moltiplicarsi, sia perché incoraggiata dalle piattaforme che si fondano su questa modalità di comunicazione (Instagram, Telegram, TikTok), sia per la disabitudine a leggere testi lunghi».
Commentare questi dati richiederebbe almeno un libro. In un articolo possiamo dire che cambia il modo di informarsi e di conseguenza cambiano anche le informazioni e, soprattutto gli informatori. Basta con i tromboni che dalle colonne di autorevoli quotidiani pontificavano spiegandoci e analizzando i fatti. Oggi contano le notizie date direttamente dai protagonisti, meglio se in poche righe e con un video visibile sullo smartphone. Così ci si informa? Si sanno le notizie, certamente, ma sono giuste? Ma la domanda più importante è: avete poi gli elementi per discuterne con un amico, in un gruppo a cena, motivando le vostre idee? Vi siete fatti, quindi, un’opinione (che è lo scopo del lavoro giornalistico)? I tromboni dei quotidiani servono ancora, anche se non li vuole leggere più nessuno.

Un’immagine ironica che evidenzia la complessità del lavoro del giornalista (foto di Maklay62)

Il giornalismo, quello vero, è un lavoro difficile perché saper scrivere non basta: serve soprattutto esperienza per valutare le diverse fonti d’informazione, saperle confrontare e verificare se dicono la verità. Oggi sono tutti giornalisti. Vi fareste operare un’appendicite infiammata dal macellaio sotto casa? NO? Ma come? Taglia la carne, quindi è un esperto.
Ai cronisti alle prime armi i più anziani raccomandavano: quando vai su un incidente stradale stai attento ai testimoni oculari. Usa spesso il condizionale perché quei testimoni che hanno visto l’auto passare con il rosso e investire il pedone, poi in tribunale non sono così sicuri. E se il pedone ci fa causa son dolori. Io ho seguito tanti processi quando facevo il cronista a Monza e vi posso dire che ricostruire la verità di un fatto è un lavoro molto, molto complicato. E non è detto che tutta la categoria dei giornalisti sia in grado, oggi, di svolgere questa attività fino in fondo: la stampa è lo specchio dei tempi.

Oggi il giornalista che fa l’intervista e la scrive non basta più, deve fare anche  la diretta video e registrare un filmato. Regola che ormai vale per tutti, non solo per i giornalisti televisivi, vista la diffusione dei siti di informazione online (foto di Bruce Emmerling)

Avete notato che quando viene diffusa una notizia (su Facebook, per esempio) c’è spesso chi dice un’altra verità, magari falsa, ma che viene creduta e che resiste nel tempo? È il relativismo, bellezza! La terra è tonda, ma secondo alcuni può essere piatta, anzi: se fosse triangolare si spiegherebbero addirittura più fenomeni naturali. Serve ancora una “mediazione giornalistica”, un occhio il più possibile distaccato che possa aiutare i cittadini che hanno la pazienza di leggere. Serve ancora? Se la notizia viene letta sul metrò con lo smartphone in mano forse non serve. Il giornalismo occupa il tempo tra una fermata e l’altra e a quella successiva si passa all’agenda o a un nuovo video. L’importante è occupare il tempo, non annoiarsi, non fermarsi mai.
Certo, il giornalismo negli ultimi anni è cambiato perché è mutato il modo di informarsi. Il WEB 2.0 ha permesso l’interazione tra gli utenti che non sono più “attori passivi” dell’informazione, ma pubblicano, interagiscono tra loro, commentano (grazie allo smartphone). È cambiata la velocità. Così le redazioni si adattano: prima pubblicano e poi verificano. E cosa pubblicano? Quando ho cominciato io a fare il giornalista cercavamo le notizie che potessero interessare i lettori. Oggi a questo criterio si è aggiunto quello dei click: la notizia più cliccata viene approfondita, seguita, evidenziata. Un algoritmo guida le scelte. Così l’Intelligenza Artificiale prima o poi sostituirà molti giornalisti. Ma non tutti.

Immagine di apertura: foto di Alexas_Fotos

Nato a Sesto San Giovanni (Milano) nel 1953, ha cominciato a fare il giornalista ad “Avvenire”, poi al “Giornale Nuovo” con Montanelli. Lavorando e studiando si è laureato in Lettere Moderne all'università Statale di Milano. Dal 1985 ha lavorato per 37 anni al “Corriere della Sera” nelle redazioni Cronache Italiane e Economia prima di diventare responsabile della Redazione Lombardia del Corriere. Ha successivamente svolto l’attività di segretario di Redazione. Ha insegnato a contratto all’Università di Bergamo “Teoria e tecniche del giornalismo” e attualmente coordina su Corriere.it il blog “Heavy Rider” che si occupa di motociclette, la sua grande passione. Svolge attività di volontariato con la collega del Corriere Lina Sotis nell’associazione milanese “Quartieri Tranquilli”.

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