Milano 19 Dicembre 2020
Il racconto del presepe non è una storia lineare come si penserebbe. Diversi tasselli lo compongono. Il Vangelo di Luca sulla Natività è l’incipit, il Protovangelo di Giacomo fissa la “scenografia” di questo evento glorioso ed epocale, con la grotta, il bue e l’asinello. L’atto finale della narrazione (che coincide con l’Epifania) è suggellato dal Vangelo di Matteo, con i doni dell’oro, dell’incenso e della mirra non svelando però i nomi dei Re Magi venuti dall’Oriente, che apprenderemo solo da Tertulliano (II-III secolo). Ma la Madonna, inizialmente, secondo un riferimento siriaco, non veglia adorante il Bambinello, ma si rilassa su una dormeuse accudita dalle donne dopo le fatiche del parto. Poi Santa Brigida, nell’estasi, con la sua visione, ne riformula l’iconografia: la Vergine è in ginocchio in adorazione del Bambino adagiato nella mangiatoia. Anno 1223, San Francesco d’Assisi realizza il presepe vivente.

Il potenziale di questa sacra narrazione viene via via sviluppato nei secoli dai maggiori artisti. Nell’alto Medioevo questa tradizione diventa vera e propria forma d’arte. Quella scolpita nel marmo di Arnolfo di Cambio nella basilica di Santa Maria Maggiore di Roma ne è il magnifico esempio realizzato tra 1285/1291. Nella cattedrale di Siena, nel bassorilievo del pulpito opera di Nicola Pisano (1265/68) troviamo sia la raffigurazione della Natività sia quella della Visitazione. Il presepe ligneo si fa strada nel XV secolo nella Napoli aragonese, con Pietro e Giovanni Alamanno che lo realizzano nel 1478 (per la chiesa di San Giovanni a Carbonara) di cui è rimasta una versione superstite rispetto ai 41 personaggi realizzati, ora visibile al Museo nazionale di San Martino, con statue di magnifica esecuzione con profusione di foglia d’oro, angeli musicanti e con una Madonna bella come una dama di corte, con il manto di un delicato rosa dorato anziché azzurro (vedi immagine di apertura). La sezione presepiale del museo di San Martino costituisce un vero tesoro nazionale tale è la ricchezza di questo patrimonio di genere (costantemente alimentato da raccolte private, anche di recente donazione), con il famoso presepe Cuciniello inaugurato nel 1879, un vero e proprio teatro di figure; il presepe Ricciardi con il corteo di Orientali, la raccolta Perrone con 956 oggetti. Al principio del ‘500, a Napoli, mastro Pietro Belverte da Bergamo ha una sua bottega specializzata nei presepi che intaglia nel legno. Famoso quello per la Cappella Carafa di Ruvo in San Domenico Maggiore. Scendendo più a Sud, nelle Puglie, Stefano da Putignano è tra i più attivi fautori del genere, e poi si osservano ancora varianti con un impianto scenografico a doppia fascia dove, sopra la grotta, far “transitare” i pastorelli (così quello della cattedrale di Matera e quello di Altamura, entrambi del XVI secolo).

Sono molti e diversi i materiali utilizzati nel tempo per dar vita alla rappresentazione della Natività (corallo, mollìca di pane, vetro filato, osso, alabastro, avorio, madreperla) e naturalmente la terracotta, cruda o policroma. Come il presepe opera di Paolo Aquilano (1501/1503) per la chiesa di San Francesco a Leonessa (Rieti). Le sagome di sessanta figure (quasi ad altezza naturale), ritagliate nella carta e nel cartoncino, vengono nobilitate dalla magnifica pittura di Francesco Londonio, grande artista settecentesco lombardo, che rende questo presepe – custodito nella chiesa di San Marco a Milano – un capolavoro.
Il presepe che meno ti aspetti è quello in miniatura, in cera e scaglie di pesce del tedesco Johann Baptist Cetto (1671-1738) conservato all’ Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova. Una città che, con Napoli, ha in comune una grande tradizione di presepi (tra cui anche quelli meccanizzati), con un percorso specifico di chiesa in chiesa, e una figura di riferimento: lo scultore Anton Maria Maragliano (1664/1739). Nel santuario della Madonnetta il presepe (diviso in diorami, oltre un centinaio di personaggi) concentra le creazioni di diversi artisti tra 600/700: Gaggini, Maragliano, Pedevilla, De Scopt. Mentre il Museo Diocesano espone quello di cartapesta di Marco Laganà.

E la cattedrale di San Lorenzo mette in bella mostra il settecentesco presepe napoletano. La mano dei più abili scultori rende le statuine (anche chiamate “manichini”) pezzi unici, con dettagli dei volti meravigliosamente realistici. Straordinarie sono quelle realizzate dal genovese Giovanni Battista Garaventa (1777/1840) autore di un presepe reale, di probabile committenza dei Savoia. Ma ciò che rende ancora più sontuose queste creazioni artistiche sono i costumi delle figure. Per vestirle si impiegano tessuti pregiati come i broccati (ma per quelle dei popolani anche la tela di jeans), i pizzi, le sete, e in ogni epoca queste vesti rispecchiano fedelmente la società del tempo secondo le classi di appartenenza. Nei secoli però anche questi vestiti si deteriorano e allora ecco che spesso si ricorre a pezze di stoffe antiche, per rifarle imitando l’originale.

L’apoteosi di questa forma d’arte si sviluppa tra 600/700, nella Napoli tra gli Asburgo di Spagna e poi i Borbone, che conferiscono al presepe l’aura di una regalità ancora oggi inalterata, che scintilla anche nei musei del mondo, dove sono conservati esemplari di fattura barocca napoletana. Quello straordinario che ammiriamo nella Cappella Palatina di Palazzo Reale è una vera e propria “macchina teatrale”, più profana che sacra, impregnata della vitalità della città, del popolino che vende pesci, verdure, ciambelle, vino. Dal 1957, il Metropolitan Museum di New York, ogni anno, espone il suo presepe napoletano come glorioso simbolo del Natale, da quando Loretta Hines Howard volle dapprima prestare la propria collezione per poi donarla al museo nel 1964. E anche l’Art Institute of Chicago ne vanta un altro splendido, datato 1725/1775. E a Milano, nelle vie della moda lo shopping natalizio ha un risvolto magico nelle vetrine di Dolce&Gabbana che, nella più pura tradizione italiana, ne espongono uno napoletano (in corso Venezia) e uno siciliano di Caltagirone (in terracotta non dipinta) in via Montenapoleone. E poi c’è una data per smontare e riporre il presepe casalingo, il 17 gennaio, festa di Sant’ Antonio abate.
Immagine di apertura: il presepe ligneo di Pietro e Giovanni Alamanno proveniente dalla chiesa di San Giovanni a Carbonara, Museo San Martino, Napoli. Risale al 1478 (foto di Miguel Hermoso Cuesta)