Milano 28 Aprile 2022
Già vediamo il peso della guerra in corso su gas, petrolio, energia. Ma non solo. Ancor più peseranno le ricadute sull’industria alimentare. Anche il grano è al centro del conflitto Russia-Ucraina. Mosca e Kiev, insieme, producono quasi un quarto del frumento mondiale e il conflitto nella regione minaccia di rallentare gli approvvigionamenti, facendo volare i prezzi del frumento e dei cereali che ora sono ai massimi storici.

Questo non fa che complicare gli scenari mondiali, già in grande crisi. L’Ucraina è la terra dei girasoli e l’olio di girasole è una delle sue peculiarità di esportazione. E già al supermercato, in Italia e in Europa, comincia a essere razionato: non più di due bottiglie a spesa. Le scorte stanno terminando, come ci confermano alcune aziende alimentari interpellate. Il nutrizionista Andrea Poli, Presidente di NFI (Nutrition Foundation of Italy), concorda: «Nei prossimi mesi il problema grano e olio di girasole peserà non poco sulle tasche e sulle scelte alimentari degli italiani».

Il Ministero dello Sviluppo Economico ha avvisato che entro un mese, con l’attuale andamento dei consumi, le scorte di olio di semi di girasole sono destinate a esaurirsi. La situazione potrebbe complicarsi ulteriormente se il conflitto dovesse proseguire, perché è saltata la semina di primavera. Doveva iniziare a marzo per il raccolto da immettere sul mercato nel 2023. Sotto le bombe e con i porti bloccati, è un raccolto che si può già considerare perduto. Prima della guerra, Russia e Ucraina producevano circa il 60 per cento del seme di girasole mondiale, ed insieme contavano per quasi l’80 per cento dell’export globale di olio di semi di girasole. L’Ucraina per l’Italia rappresenta oltre il 60 per cento delle importazioni di olio perché non siamo autosufficienti; ne produciamo 250mila tonnellate mentre il nostro consumo è di quasi 800mila. Largamente insufficiente per le necessità dell’industria alimentare. La sua mancanza rischia di diventare strutturale e non più momentanea, in tutta l’Europa.

Ma i consumatori italiani che acquistano olio di semi di girasole al supermercato rappresentano solo una parte del mercato. L’olio di semi di girasole non figura ai primi posti nella lista della spesa degli italiani e può essere facilmente rimpiazzato da altri oli. A casa, per esempio, si può sostituirlo con l’olio di mais, di soia o d’arachide. La principale preoccupazione riguarda l’importante fetta dell’economia italiana che utilizza quest’olio: l’industria oleochimica ed energetica con il biodiesel, le farine per uso zootecnico e l’industria alimentare. Quest’ultima utilizza l’olio di girasole in modo massiccio come componente e addensante di moltissimi alimenti come maionese, margarine, salse, sughi, snack, cracker e gelati. L’olio di semi di girasole è presente nel 90 per cento dei prodotti alimentari e viene usato come addensante in tutti i biscotti più venduti in Italia. Chiaramente, l’industria alimentare dovrà modificare in parte i propri processi. Ci potrebbe essere un ritorno all’olio di palma, che però è solido e chi ha un sistema produttivo basato sull’olio liquido dovrebbe approntare modifiche sostanziali. C’è l’olio di colza o quello di cocco o di altri semi. Ma c’è da considerare anche la questione organolettica, perché l’olio di girasole è neutro, mentre gli altri hanno un sapore che può cambiare la percezione soggettiva del prodotto finale.

Inoltre, ogni Paese ha delle esigenze alimentari diverse. In molti prevedono il ritorno al “temuto” olio di palma. Scomparirà la scritta “senza olio di palma” dalle confezioni? Non è detto. Vi sono altri oli vegetali come quello di soia o di colza (ma anche questo gravato da molti pregiudizi salutistici). Probabilmente, però, è prevedibile un dietro-front sull’olio di palma, anche se molto dibattuto sul piano ambientale e su quello della salute. A questo proposito, la rivista Nature pubblicò uno studio che confermava come non fosse di per sé l’acido palmitico ad aumentare il rischio di tumori, ma alcuni composti instabili (come il glicidolo) che originano quando il frutto della palma è portato ad alta temperatura durante la raffinazione dell’olio. E l’Airc, l’Associazione Italiana per la ricerca sul cancro, spiegò che: «Con una normale alimentazione è molto difficile raggiungere le quantità che aumenterebbero in modo significativo il rischio individuale di sviluppare un tumore. È consigliabile non abusare di cibi contenenti olio di palma, ma non c’è alcun motivo ragionevole per eliminarli del tutto». Qual è la quantità rischiosa? Secondo l’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, 2 microgrammi per chilo al giorno è la quantità considerata sicura per l’organismo umano. Andrea Poli entra nel merito: «Di fatto l’olio di palma è stato sostituito dall’olio di girasole altoleico, che tecnologicamente è simile come densità all’olio di oliva. Questo a fini della produzione alimentare, perché sotto il profilo nutrizionale sarebbe decisamente migliore l’olio di girasole classico (non altoleico) che è ricco di omega 6, ma è troppo fluido ai fini produttivi dove serve una matrice oleosa densa. Ora come sostituirlo? Oltre a quello di palma vi è l’olio di colza, quello di mais, di vinacciolo, di arachidi. Ma l’altoleico ha caratteristiche tali che altri non hanno».
Immagine di apertura: foto di Bruno/Germany