Milano 27 Febbraio 2025
Questo è un film che bisogna andarselo a cercare. Perché, tra Sanremo e titoli in odore di Oscar, L’uomo d’argilla è uscito nelle nostre sale in modo un po’ clandestino, spesso rimosso in fretta da gestori incapaci di lasciar tempo al debito passaparola. Quindi, se vi piacciono le gemme rare, le scoperte emozionanti, le storie fuori dal coro, il consiglio è: non perdetelo. In qualche cinemino resistente si trova ancora.
Opera prima della regista francese Anaïs Tellenne, L’uomo d’argilla, distribuito dall’intrepida Satine, è un film anomalo e affascinante, che colleziona consensi nel mondo. Applaudito alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia, premio del pubblico al Busan International Film Festival, adesso vincitore del Gran Prix al MyFrench Film Festival, dove il Presidente della giuria, l’attore poeta e pittore Viggo Mortensen, ha voluto sottolineare «la bellezza e lo stupore di una favola moderna, un poema che arriva inatteso e resta nel cuore come una canzone».

Credetegli. Sullo sfondo fiabesco di un castello di campagna, disabitato perché la proprietaria è sempre via, gli unici due esseri viventi sono una vecchia custode dispotica e suo figlio quasi sessantenne, rassegnato a sopportarla. Un omone grande e grosso e goffo, un po’ Frankenstein un po’ orco Shrek, in più orbo di un occhio. Raphaël si chiama, come il suo interprete, Raphaël Thiéry, presenza carismatica dello schermo, già visto ne Le vele scarlatte di Pietro Marcello e in Poor Things! di Yorgos Lanthimos. Non avendo granché da fare, l’omone passa il tempo dedicandosi alle sue attività preferite: cacciare le talpe che rovinano il giardino, fare l’amore con una postina compiacente, suonare la cornamusa. Attività quest’ultima che, stando in aperta campagna, pratica senza tema di proteste sotto la luna, e il sabato sera al pub del paese, con una band amatoriale. Ad interrompere quel quieto tran-tran, ecco che arriva inattesa, in una notte debitamente buia e tempestosa, la padrona del maniero. Anche lei non più giovane ma ancora piacente visto che a prestarle il corpo morbido e le labbra sensuali è Emmanuelle Devos, recente protagonista de I Profumi di Madame Walberg.

Gran Dama e grande artista, madame Garance (nome che a chi ama il cinema certo rievoca la seducente Arletty de Les enfants du Paradis di Carné) si installa nella sua tenuta per lavorare a una nuova opera. Raphaël, che mai ha visto niente del genere, ne è ammaliato. Ma anche lei, incuriosita da quello strano essere il cui volto sembra scolpito in rozza pietra, si sorprende a spiarlo. Senza dirsi quasi nulla tra i due si stabilisca un legame sottile, di gesti e sguardi. «Il tuo corpo è un paesaggio. Un Canyon», gli dice lei, capace di scorgere dietro la ruvidità e le asperità della carne, la malinconia e tenerezza che vi si celano.
Per Raphaël, che della sua fisicità deforme ha ben consapevolezza, una frase che scardina un mondo e ne apre un altro. Per la prima volta si sente guardato come qualcuno degno di interesse. Garance gli propone di posare per lei. Per farlo dovrà spogliarsi. Mostrare a una donna, la principessa del castello, il suo corpo sgraziato è un trauma e una gioia inaudita. Il modello offre la sua nudità all’artista, l’artista la ricopre di fango per prenderne il calco. Possente e fragile, il gigante d’argilla cede la sua forma e ne prende un’altra sotto il tocco della sua creatrice.

Viene in mente la statua di Balzac ideata da Rodin, di recente oggetto di una affascinante mostra parigina che racconta il periglioso tragitto dello scultore per far emergere dalla creta l’anima di uno scrittore dal fisico sgraziato. La potenza dell’arte trasforma la materia bruta in bellezza universale. Entrambi ne escono mutati. L’empatia sensuale che lega l’artista e la musa, la donna e l’uomo, somiglia a una storia d’amore. Ma è molto di più. Esposta in una galleria, la statua diventa capolavoro, oggetto d’ammirazione di altri sguardi, del tutto ignari del modello originale. Chi sia, cosa gli sia rimasto di quell’incontro che l’ha reso immortale, sono domande che il film ci lascia. La posa in cui è ritratto ricorda quella de Il pensatore di Rodin. Ma più sognante. Non a caso il titolo originale del film è The Dreamer. Colui che è nato da uno sguardo e da un sogno.
Immagine di apertura: Emmanuelle Devos nei panni di Madame Garance ne L’uomo di argilla