Milano 27 Novembre 2024

«Après moi le déluge!», dopo di me il diluvio. Sovrano indolente e dotato di un ego ipertrofico, Luigi XV pare abbia così rintuzzato chi lo esortava a occuparsi degli affari di Stato e arginare i crescenti malumori della gente. Risposta boriosa, sinistramente profetica dell’uragano della Rivoluzione che, pochi anni dopo la sua morte, si sarebbe abbattuto sul suo discendente, Luigi XVI, la sua Corte, la Francia intera.

Gli ultimi giorni di Luigi XVI ( Guillaume Canet) e di Maria Antonietta (Mélanie Laurent) a Versailles

Le déluge di Gianluca Jodice, iscrive nel titolo quell’infelice battuta per alludere al caos e alla pioggia di sangue che di lì a poco avrebbero spazzato via con un colpo di ghigliottina quattordici secoli di monarchia ottusa e arrogante.
“Gli ultimi giorni di Maria Antonietta”, sottotitolo del film, produzione italo francese, distribuito nelle sale da Bim, sono anche gli ultimi giorni di Luigi XVI, ultimo Re per diritto divino, debole ma onesto, forse il più sensibile dei Capeto alle miserie del popolo, destinato però a pagare con la vita per tutti gli altri. A svelarne i veri volti dietro la maschera, nei giorni bui della prigionia al Tour du Temple, due grandi interpreti quali Mélanie Laurent, Toinette sprezzante, risoluta, sgomenta, mentre Guillaume Canet, irriconoscibile sotto il cereo trucco e la candida parrucca, è un Re vinto ma distaccato, di sublime compostezza persino davanti alla sentenza fatale.

La scena del film in cui Maria Antonietta (Mèlanie Laurent) è costretta dai suoi carcerieri a suonare la Marsigliese alla  spinetta

Basata sui diari di Cléry, il valletto del re che accompagnò la famiglia reale nell’ultimo esilio, la sceneggiatura di Filippo Gravino e Gianluca Jodice è scandita in tre capitoli: Gli dei, Gli uomini, I morti. Tre movimenti in crescendo drammatico per rievocare con intelligente lucidità e coraggio di travalicare schemi consueti, il crollo traumatico di un mondo effimero, chiuso nei confini di Versailles, inconsapevole o indifferente a tutto ciò che accadeva di fuori. Uno scrigno dorato che di notte si accendeva di mille candele per feste sfarzose. «E io guardavo tutte quelle luci mentre mio figlio moriva di stenti, morsicato dai topi», racconta l’ufficiale carceriere alla prigioniera Maria Antonietta. Che non batte ciglio, ma forse inizia a capire.
Il tempo sospeso della prigionia è quello dell’umiliazione e della ferocia. Privata di tutto, anche del cambio della biancheria, la fu Regina è costretta a suonare la Marsigliese alla spinetta, a confrontarsi con una delegazione di popolani laceri, sporchi, truculenti. «Non abbia paura di noi, noi siamo l’umanità», le grida contro una megera facendo rotolare ai suoi piedi quel che nasconde nel sacco, la testa sfigurata della principessa di Lamballe, l’amica più cara di Maria Antonietta, massacrata nei modi più indegni e quindi affidata al boia.

Maria Antonietta con i figli in un’altra scena del film

Ma i giorni dello sgomento sono anche i giorni della consapevolezza, del brusco passaggio dalla più sfrenata frivolité alla più cruda égalité. Un affacciarsi alla realtà, spietato e inatteso, che scolora i bei capelli dorati di Antoinette in arruffati riccioli bianchi, lacera le ricche vesti, sbrindella merletti, scalfisce giorno dopo giorno la maschera mortuaria di una fatua regalità lasciando affiorare il volto segnato di una donna dolente, spaventata, ma finalmente vera e dignitosa.
La scomoda domanda che affiora dal film è: occorreva davvero tanta violenza? Davvero le teste di un Re e una Regina colpevoli, e non era certo colpa da poco, di cecità e ignavia dovevano cadere? Davvero serviva spargere quel sangue regale e, da lì a poco, con l’arrivo del Terrore, pure quello plebeo di tanti capi e citoyens?
La rivoluzione non è un pranzo di gala, avvertiva Mao Zedong. Non si può fare con eleganza. In ogni sommossa violenta c’è un lato oscuro, scellerato, che resta impigliato nella Storia, ne determina il futuro.

William Hamilton, “Maria Antonietta viene portata all’esecuzione”, 1794, olio su tela, Vizille (Isère), Museo Della Rivoluzione Francese

La nostra democrazia occidentale affonda lì le sue radici, è la tesi di provocatoria e spiazzante attualità su cui Jodice invita a riflettere facendo sue le parole di uno storico marxista francese: «La violenza politica della contemporaneità nasce dal Terrore della Rivoluzione Francese».
Nel finale del film, che si vale della livida, superba, fotografia di Daniele Ciprì e delle sonorità contemporanee di Fabio Massimo Campogrosso, un gruppo di rivoluzionari guarda il passaggio della carretta che sta portando Luigi XVI al patibolo. E uno di loro mormora pensoso: «Noi, che abbiamo voluto preparare il terreno alla gentilezza, noi non potemmo essere gentili». Versi  di Bertold Brecht che verranno scritti nei tempi bui del nazismo, alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale.
Il fiume della Storia non si arresta. La sua brutalità tracima fino ai giorni nostri, complici certi detentori della democrazia, pronti a sostenere ogni orrore pur di imporre la loro supremazia.

Immagine di apertura: Mélanie Laurent nei panni di Maria Antonietta e Guillaume Canet in quelli di Luigi XVI

Nata a Venezia, giornalista professionista di lunga militanza in Cultura e Spettacoli del "Corriere della Sera" con cui tutt'ora collabora. Specialista di musica e di cinema, ha seguito per circa 30 anni i principali festival europei, da Cannes a Venezia a Berlino. Per la casa editrice Guanda ha scritto in coppia con Dario Fo quattro libri, "Il mondo secondo Fo", "Il Paese dei misteri buffi", "Un clown vi seppellirà", "Dario e Dio". E da sola, sempre per Guanda, è autrice de "Nel giardino della musica. Claudio Abbado: la vita, l'arte, l'impegno", "Ho visto un Fo" , di "Complice la notte" dedicato alla grande pianista russa Marija Judina. nel 2021, e per la Nave di Teseo del recente "La Bambolaia"

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