Milano 28 Maggio 2022
Presentato l’altro giorno in concorso a Cannes e subito distribuito nelle sale, Nostalgia è l’ultimo capitolo della trilogia napoletana di Mario Martone. Dopo Il sindaco del rione sanità del 2019, dopo Qui rido io dell’anno scorso, il regista conclude qui il suo viaggio nel ventre oscuro di una città amata e disamata, madre e matrigna, possessiva, crudele, bellissima. Che anche quando sembra lasciarti andare poi ti riacciuffa, ti riavvolge col suo cordone ombelicale fetido e fragrante. E non ti molla più. Succede anche a Felice Lasco, un magnifico Pierfrancesco Favino, fuggito da ragazzo senza dar spiegazioni, dapprima nomade in Medio Oriente, poi stanziale al Cairo, dove ha fatto fortuna, messo su una sua impresa di costruzioni, sposato la donna da amare per sempre.

Ma poi, dopo più di quarant’anni di lontananza, Felice torna. Per rivedere la madre molto anziana e anche la città perduta, quel suo rione Sanità rimasto, a dispetto del tempo, così incredibilmente immobile. Dove, come per malia, il passato si rifà costantemente presente. E lui, ormai straniero anche nella lingua, si perde nel labirinto dei vicoli e della memoria, e si scopre napoletano più che mai.
Tratto dall’omonimo romanzo di Ermanno Rea uscito nel 2016, a pochi mesi dalla sua morte, Nostalgia, sceneggiato da Martone con Ippolita Di Majo, è l’apologo del ritorno impossibile, dell’impossibile pacificazione col passato che non passa e pretende la resa dei conti. Per Martone un nuovo confronto letterario con una città sempre più sua, sfondo palpitante di tanti suoi film, uno più straordinario dell’altro, dalla Morte di un matematico napoletano a Rasoi, da L’amore molesto a Teatro di guerra.
Una Napoli la cui anima malavitosa e ribelle si stringe nel quadrilatero di un Rione Sanità caro a Totò e a Eduardo, dove il Sindaco despota non amministra più giustizia alcuna, e al suo posto c’è un malavitoso comune, che spaccia armi e droga. O’Malommo, viene chiamato nel quartiere. Ma per Felice lui resta Oreste (Tommaso Ragno), l’amico geniale delle scorribande in moto, delle bravate adolescenziali. Una più grossa di tutte le altre, finita malissimo. Segreto terribile, che gli pesa nel cuore da sempre. Lo confiderà solo a don Luigi, prete barricadero, unico alfiere di una legalità e di una moralità messe al bando in quella terra di nessuno, dove ogni istituzione batte in ritirata, indifferente al degrado criminale, o peggio, connivente.

Una figura di luce che Martone, mettendo in pratica la legge del contrappasso cinematografico, affida a Francesco Di Leva, già Sindaco camorrista del Rione Sanità. Le chiacchierate tra il prete e Felice, il loro girovagare come Dante e Virgilio tra i gironi di un Inferno dove il canto di una donna, il fiore di un limone, portano di colpo una ventata di Paradiso, sono tra i momenti più coinvolgenti del film. Che ha il suo vertice emotivo nel legame tra Felice e la madre, Aurora Quattrocchi. La scena in cui il figlio la raccoglie tra le braccia e immerge il suo vecchio corpo in una tinozza per detergerne tutto il dolore accumulato negli anni, è una Pietà al contrario. Di straziante e potente tenerezza.
Immagine di apertura: Pierfrancesco Favino (Felice) e Francesco Di Leva (don Luigi) in una scena di Nostalgia (foto di Mario Spada)