Milano 23 Ottobre 2020
Che cosa accadrebbe se per mesi eliminassimo quasi tutto il traffico dalle nostre città, dalle autostrade e dalle principali vie di collegamento? Con le strade deserte e le emissioni dei mezzi di trasporto quasi a zero, probabilmente l’aria sarebbe più respirabile. O, almeno, questa è stata l’impressione che molti di noi hanno avuto camminando in città durante il pesante lockdown della scorsa primavera. Un’occasione unica per fare una ricerca in merito, la situazione perfetta per studiare l’inquinamento dell’aria. L’hanno fatto i ricercatori dell’Istituto per la Bioeconomia del Consiglio Nazionale delle Ricerche, sede di Firenze, pubblicando poi i risultati sulla rivista Environmental Pollution.

Da marzo in avanti abbiamo assistito a una riduzione del traffico cittadino importante, all’incirca tra il 50 e il 60 per cento. Fuori dai centri urbani si è arrivati, addirittura, ad un calo del 75-80 per cento. «È uno studio senza precedenti proprio per questa eccezionalità – spiega Giovanni Gualtieri, ingegnere esperto di inquinamento atmosferico, ricercatore dell’Istituto fiorentino e coordinatore del progetto – ; si è verificata una situazione senza precedenti».
Ebbene, a dispetto della considerazione che abbiamo fatto un po’ tutti in quel periodo, è emerso qualcosa di diverso. La ricerca ha preso in considerazione sei città tra le più popolose d’Italia: Milano, Bologna, Firenze, Roma, Napoli e Palermo e lo scenario selezionato è stato messo a confronto con uno del 2019 meteorologicamente comparabile. «Ci saremmo aspettati una riduzione quasi consequenziale dell’inquinamento – prosegue Gualtieri -, invece, il calo ha riguardato soltanto il biossido di azoto (NO2), che è l’inquinante più strettamente legato al traffico veicolare. Ma non è successo per le polveri sottili PM10 e PM2.5 (particelle microscopiche che si trovano in sospensione nell’aria dove il numero sta a indicare la loro grandezza, ndr). Questo perché la fonte di queste emissioni, soprattutto nel periodo invernale, è il riscaldamento quasi in misura comparabile ai mezzi di trasporto. Durante il lockdown, non c’è stata una riduzione dell’utilizzo del riscaldamento, anzi, si è riscontrato un aumento di circa il 20 per cento dovuto al fatto che le persone hanno passato più tempo in casa e che le temperature sono state più rigide (in media di quasi un grado). Quindi, se da una parte il traffico è diminuito, dall’altra il riscaldamento ha fatto registrare consumi più alti. Ecco perché le polveri sottili non sono calate quanto si sperava». Senza dimenticare che anche il ricorso alle biomassa a base legnosa che si sta diffondendo perché meno costoso del gasolio, produce in gran quantità PM10.

In conclusione, il biossido di azoto è diminuito significativamente, le concentrazioni di polveri fini si sono ridotte in misura minore, quelle di ozono sono rimaste invariate o addirittura aumentate, fino al 13.7 per cento a Palermo e al 14,7 per cento a Roma. Spiega questa impennata Gualtieri: «L’ozono è un inquinante cosiddetto secondario, emesso fondamentalmente dalle reazioni innescate dalle radiazioni solari che agiscono su due gruppi di inquinanti tradizionali, ovvero gli ossidi di azoto (NOX), e i composti organici volatili (COV, il più famoso è il benzene). Quando si ha un’intensa attività solare, i raggi del sole aumentano la produzione di ozono. Di contro, esiste un altro meccanismo chimico che porta al consumo, e quindi alla diminuzione, di questo inquinante: quando viene emesso nell’aria il monossido di azoto, tipicamente in conseguenza del traffico, questo si combina con l’ozono e lo riduce. In conclusione durante il lockdown, il blocco del traffico ha fatto sì che si sia ridotta nell’aria la quantità di monossido di azoto con un conseguente minor abbattimento dell’ozono presente nell’atmosfera».
Lo studio ha previsto anche un confronto con altre situazioni nel mondo. I Paesi in via di sviluppo, notoriamente inquinati, come la Cina e l’India, hanno beneficiato molto di più di noi della riduzione del traffico. In India, le PM10 sono calate del 31 per cento in ventidue città, arrivando a uno strabiliante 60,5 per cento nella megalopoli di Nuova Delhi. Mentre in Francia (Nizza, ad esempio), negli Stati Uniti, e in altri Paesi simili al nostro, analisi analoghe hanno dato risultati comparabili a quelli emersi in Italia. Indubbiamente il fenomeno dell’inquinamento urbano è molto complesso e ancora una volta si conferma la necessità di lavorare su più fronti: il processo di decarbonizzazione deve avvenire parallelamente in tutti i settori, compresi i sistemi di riscaldamento. Operazione lunga, difficile, e costosa.
Immagine di apertura: una Trinità dei Monti spettrale durante il periodo del lockdown (foto di Bradiporap)