Milano 19 Dicembre 2020

Nel tempo, per varie cause, i denti si rovinano, si perdono. E con essi si perde il sorriso e la possibilità di masticare al meglio il cibo. Allora si va dal dentista che oggi, se ci sono le condizioni, ci propone un impianto dentale. Un sostituto molto simile al dente naturale. Ma anche lui ha una data di scadenza. Quanto può durare? A questa domanda non c’è una risposta univoca; dipende da molti fattori, in particolare dalla pianificazione dell’intervento e dalla capacità del paziente di seguire le indicazioni dell’odontoiatra nel periodo immediatamente successivo a quest’ultimo. In questi anni sono stati fatti molti studi per capire quanto tempo durano realmente gli impianti, quali materiali e quali passaggi nell’atto medico vanno seguiti, che cosa si deve fare, una volta impiantato il dente protesi, perché duri senza dare problemi in bocca il più a lungo possibile.

Un’immagine scherzosa dell’implantologia, che comunque rende l’idea della delicatezza dell’intervento (foto di Wilfried Pohnke)

«Vari lavori in letteratura dimostrano che per gli impianti dentali si può prevedere una durata molto elevata nel corso degli anni – dice Maurizio Silvestri, dentista libero professionista a Pavia, vincitore nel 2012 dell’Earl Robinson Periodontal Regeneration Award assegnato annualmente dalla prestigiosa American Academy of Periodontology -. In particolare, vi sono studi condotti in Svezia su campioni molto numerosi di pazienti seguiti per più di nove anni dall’inserzione degli impianti. Le percentuali di sopravvivenza a più di dieci anni sono di oltre il 92 per cento. Questi dati si riferiscono alla perdita dell’impianto (tecnicamente si parla di mortalità implantare)».
Negli studi svedesi sono stati analizzati anche i dati sulle complicanze cui vanno incontro i portatori di impianti dentali. E cause e concause della loro comparsa. «Queste complicanze sono in maggioranza di natura infettiva, le cosiddette “perimplantiti” – prosegue Silvestri -. Sono caratterizzate dalla formazione di un’infezione, su base batterica, fra gengiva ed impianto che determina una progressiva perdita dell’osso di sostegno fino alla caduta dell’elemento impiantato. Queste complicanze coinvolgono, dopo cinque anni dall’inserzione, circa il 5-7 per cento degli impianti. Il dentista che programma questa terapia dovrebbe conoscere i fattori di rischio che determinano questo tipo di complicanza in modo da ridurne la comparsa. I fumatori (in particolare chi fuma più di 10 sigarette al giorno) sono altamente a rischio. E lo sono anche i pazienti con infezioni parodontali attive».

Il dentista svolge un ruolo chiave nella riuscita di un impianto, non soltanto per il gesto tecnico, ma anche per la capacità di selezionare i pazienti candidati all’impianto. Il fumatore, ad esempio, è un pessimo candidato (foto di Joseph Shohmelian)

Che cosa dovrebbe fare il dentista affinché il paziente comprenda di essere parte attiva della durata dell’impianto? Risponde Silvestri: «L’atteggiamento corretto del dentista dovrebbe essere quello di curare prima le infezioni parodontali sulla dentatura residua del paziente e, solo in un secondo tempo, programmare l’impianto. I pazienti fumatori e che soffrono di parodontopatie sono quelli con le percentuali di complicanze più elevate. Se non vengono messi sotto controllo i loro fattori di rischio, il dentista dovrebbe astenersi dal proporre la terapia implantare. In sostanza, deve condurre una diagnosi multi-livello, molto attenta del candidato all’impianto».
In passato, però, la durata dell’impianto era quasi una scommessa e, nel migliore dei casi, si avvicinava agli 8-9 anni. Quindi, molto è cambiato dal punto di vista delle tecniche. «Vero – conferma Francesco Riva, consigliere del CNEL e già direttore della Chirurgia odontostomatologica dell’Istituto George Eastman di Roma -. Il miglioramento delle tecniche e delle strutture implantari, la confezione di protesi sempre più precise, lo studio radiologico del caso e la chirurgia guidata dal software hanno permesso di allungare la durata della protesi implantare fino ad essere sovrapponibile a quella convenzionale, non impiantata. Ma, come per gli elementi dentali naturali, è importante una perfetta igiene, un controllo della salute generale e la sospensione, o almeno, la diminuzione del fumo di sigaretta». Una recente meta-analisi di oltre 32 studi, selezionati tra 257 per le caratteristiche che servivano a verificare le risposte a certe domande, ha confermato queste conclusioni: è stata riscontrata una sopravvivenza degli impianti che supportano protesi dentarie fisse del 95,6 per cento dopo 5 anni e del 93,1 per cento dopo 10 anni.

L’impianto dentale attuale, quindi, può avere una durata media di 10-15 anni. E potrebbe anche reggere più a lungo. A parte il fumo di sigaretta, fondamentale è l’igiene. La protesi, infatti, è la parte più esposta di un impianto dentale e quella maggiormente sottoposta a usura. La presenza di residui di cibo può favorire la comparsa di placca e tartaro in tutta la bocca, ma una delle zone dove non si deve mai trascurare l’igiene è la linea di confine tra la protesi e la gengiva perché la presenza di batteri può dare origine a un’infiammazione e, dunque, ad una perimplantite. Per questo motivo, è opportuno pianificare con il dentista sedute di pulizia profonda e monitorare lo stato di salute della protesi. O meglio dell’impianto a cui è fissata. La protesi, infatti, se usurata o compromessa, essendo avvitata all’impianto dentale, può essere sostituita o rimodellata senza alcuna conseguenza per l’impianto stesso.

Immagine di apertura: foto di Gerd Altmann

Scomparso improvvisamente nel 2022, era giornalista e scrittore. Nato a Roma nel 1954, si occupava di informazione medico-scientifica e sanitaria dal 1976. Ha legato gran parte della sua carriera al "Corriere della Sera". Negli ultimi anni dirigeva URBES, primo magazine italiano che si occupa di salute nelle città. Insieme a Umberto Veronesi, ha scritto "Una carezza per guarire" (Sperling & Kupfer 2004), "Le donne vogliono sapere" (Sperling & Kupfer 2006), "L’eredità di Eva" (Sperling & Kupfer 2014), "Verso la scelta vegetariana" (Giunti 2011), "I segreti di lunga vita" (Giunti 2013), "Ascoltare è la prima cura" (Sperling & Kupfer 2016). Suoi anche "L’Artusi vegetariano "(TAM editore, 2016) e "L’orto di Michelle" (Universo Editoriale, 2017) scritto con Federico Serra. L'ultimo, “Il genio in cucina” (Giunti editore, 2019)

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