Firenze 28 aprile 2022

Spesso le parole contengono, appena celato, il vero significato delle cose, e anche il loro destino. “Ucraina” significa sul confine (u krajna). Uno spazio di frontiera. E l’attuale invasione dell’Ucraina da parte della Russia rispecchia la tumultuosa storia intercorsa tra i due Paesi durante tutto il Novecento. Vladimir Putin sostiene da sempre che «russi e ucraini sono un unico popolo». In realtà, mentre la parte orientale del paese (Donbass) è passata da secoli sotto l’influenza russa per cui la popolazione è di religione ortodossa e parla la lingua russa, in quella occidentale, a suo tempo caduta sotto il controllo della Polonia e dell’Impero Asburgico, predomina la lingua ucraina e la religione cattolica.

L’antico monastero delle grotte di Kiev o Pečerska Lavra, sul monte Berestov nella capitale ucraina, fondato nel 1051 (foto di James Hills)

Ripercorriamo velocemente la sua storia. Quando, nell’ 882 d.C., il principe scandinavo Oleg conquistò Kiev (Kyiv), uccise i signori della città (appartenenti alla tribù slava dei Poliani) e dichiarò: «Questa città sarà la madre di tutte le città dei Rus’», che erano un potente clan vichingo. In poco tempo, quella città commerciale, attraversata dal grande fiume Dnepr (che i romani chiamavano Danaper) divenne il centro di un potente impero che andava dal Mar Baltico al Mar Nero. Quando nel 988 Vladimir I, sovrano della Rus’ di Kiev, scelse il cristianesimo ortodosso come religione di Stato, i suoi principi presero molto sul serio la religione bizantina come strumento di potere: furono erette molte chiese, tanto che secondo il vescovo sassone Ditmaro di Merseburgo, in visita a Kiev nel 1018, in città il loro numero superava le trecento unità. La testimonianza di quella manifestazione architettonica è il bellissimo Pečerska Lavra: un antico monastero, fondato nel 1051 dai monaci Antonio e Teodosio, diventato un luogo di culto importante nel Medioevo e che oggi ospita la residenza del Metropolita di Kiev. Dopo la dinastia dei Rus’, l’Ucraina nel 1386 passò sotto quella degli Iagelloni fino al 1569 per finire poi spartita tra la Russia zarista e la Polonia e alla fine del Settecento tra l’Impero Austriaco e la stessa Russia che la sottopose ad una pesante russificazione demografica e culturale. Quando la dominazione zarista fu travolta dalla rivoluzione bolscevica del 1917, il Paese dal 1922 entrò a far parte dell’Unione Sovietica. La politica portata avanti da Lenin fu quella della korenizatsiya, ovvero la costruzione di comunità nazionali con proprie identità etno-culturali. Una politica nefasta secondo Putin, che “consolidò a livello statale la divisione tra i tre popoli slavi, russo, ucraino e bielorusso, al posto della grande nazione russa”.

La commemorazione dell’Holodomor a Kiev in uno scatto del 2003

Nei successivi vent’anni l’Ucraina subì due tragiche e successive tragedie: per effetto della politica decisa da Stalin agli inizi degli anni Trenta una spaventosa carestia provocò lo sterminio di buona parte della popolazione (quasi quattro milioni di morti). Nel paese detto “il granaio d’Europa” la collettivizzazione forzata delle terre confiscate ai kulaki (proprietari) contrari ad aderire ai kolchoz, le aziende agrarie collettive sovietiche, e la confisca del cibo, provocò una ecatombe. Una grande tragedia che ancora oggi viene celebrata il 23 novembre con la ricorrenza dell’Holodomor, dall’espressione ucraina moryty holodom, che significa “infliggere la morte attraverso la fame” e costituisce una delle ragioni del perdurante risentimento di Kiev verso Mosca.
Sotto l’occupazione militare tedesca tra il 1941 e il 1944 nei Governatorati della Crimea, della Transnistria e Bucovina, gli Einsatzgruppen nazisti attuarono lo sterminio di massa di circa un milione e mezzo di ebrei. Il luogo in cui avvenne il massacro più rilevante fu Babi Yar, un grande burrone nei pressi di Kiev dove 33 mila ebrei furono uccisi in un’unica operazione tra il 29 e 30 settembre 1941.

La sinagoga grande corale, in stile neomoresco, conosciuta anche come la sinagoga di Rozenberg, la più antica di kiev

Quattro anni più tardi la vittoria dell’Armata Rossa fino alla conquista di Berlino segnò la fine della Seconda Guerra Mondiale e la stretta appartenenza dell’Ucraina al blocco dei paesi guidati da Mosca nella cosiddetta “guerra fredda”. Con l’avvento al potere di Michail Gorbaciov, poi con la caduta del Muro di Berlino e la dissoluzione dell’Urss, il Paese conquistò l’indipendenza nel 1991. Seguirono pochi decenni di pace. Nel 2013, caduto il governo Jamukovyc, propenso a relazioni più strette con la Russia, l’insediamento di quello attuale aperto all’Occidente provocò la secessione della Crimea e l’inizio della guerra nel Donbass.
Putin, con il feroce attacco all’Ucraina in corso, intende porsi come il nuovo Zar capace di far rinascere la Grande Russia e di cancellare l’inglorioso disfacimento dell’URSS erede dell’impero zarista. Lo ha dichiarato sostenendo che «la Russia è una nazione una e trina con la Bielorussia e l’Ucraina» i cui territori, dal suo punto di vista, sarebbero stati sottratti da Lenin alla madre patria, motivo per cui è legittimo, anche a costo di una guerra lunga e disastrosa come quella in corso, il ritorno dell’Ucraina alla nazione madre affinché non resti più soggetta al modello di vita occidentale.

La statua che raffigura la Berehynia (la madre terra slava) che solleva un ramo di viburno, posta in cima al monumento all’indipendenza in piazza Maidan a Kiev (foto di Adam Jones)

La realtà è che, da quando l’URSS si è dissolta e l’Ucraina è diventata una nazione indipendente, la frattura tra coloro che ricordano il controllo russo come un periodo tragico rispetto a quanti lo ricordano con nostalgia, si era ricomposta durante la Rivoluzione arancione del 2004 che aveva indotto gli ucraini ad aspirare ad una maggiore integrazione con l’Europa e ad una vita sociale rispettosa dei diritti umani.
Ricordando le sopraffazioni russe del passato, oggi l’Ucraina sotto assedio per l’aggressione di Putin, ma forte della solidarietà internazionale e dell’inattesa capacità di resistenza militare che sta dimostrando, può negoziare non certamente una resa, ma quanto meno ciò che più interessa a Putin. Probabilmente un allargamento del Donbass con un corridoio che consenta alla Russia di congiungersi via terra con l’Ucraina per avere da qui, tramite il Mar Nero, un accesso diretto con il mar Mediterraneo e i Paesi del Nord Africa nei quali, in questi anni, la presenza della Russia si è fatta, anche sul piano politico-militare, più insistente. A dimostrazione di quel ruolo di potenza imperiale tanto caro al “nuovo Zar”.

Immagine di apertura: foto di Alexandra Koch

Toscano, laureato in Scienze dell'educazione all'Università di Urbino, giornalista fin dal 1975, ha lavorato alla "Nazione" per molti anni ed è stato Direttore dei fogli culturali "Fabbrica e cultura" e "Artetoscana". Per decenni docente di Storia e Filosofia nei licei classici, ha pubblicato vari libri. Fra questi, "Stragi naziste sotto la Linea Gotica: Sant'Anna di Stazzema e Marzabotto (Mursia, 2004), "La resistenza nell'area tosco-emiliana" (1943-45) edito nel 2018 dalla Regione Toscana. Autore di poesie, nel 2020 ha vinto il Premio "Città di Sarzana" con la lirica "Oh, presto, usciamo dalla guerra!" e il Premio "Rocco Carbone" con la raccolta "Come voce di mare sullo scoglio"; nel 2022 il Premio "Lord Byron Porto Venere Golfo dei Poeti", con la raccolta di epigrammi in poesia sulla vita dei poeti Alighieri, Calvalcanti, Rimbaud, Keats, Leopardi ed altri.

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