mercoledì 2 Aprile 2025

FRANCAMENTE...

  L’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID) è morta. Marco Rubio, il Segretario di Stato americano, ha annunciato che l’83 per cento dei programmi finanziati dall’Agenzia verranno tagliati, mentre il resto sarà assorbito dal Dipartimento di Stato. ll presidente Trump ha giustificato la chiusura di USAID definendola un’agenzia «gestita da un gruppo di radicali» e ha dichiarato che era «tempo di eliminarla». Per il miliardario Elon Musk si tratta, addirittura, di «un’organizzazione criminale». La mossa conferma i peggiori timori della comunità internazionale, arrivando 6 settimane dopo una pausa che ha visto cancellare 5200 contratti. Nel 2024 l’USAID ha erogato 32 miliardi di dollari: principali destinatari l’Ucraina, la Giordania e l’Etiopia; 8 miliardi sono andati a programmi sanitari, 6 all’assistenza umanitaria, 3 alla lotta contro l’HIV / AIDS, la tubercolosi e la malaria a livello globale e 290 milioni allo sviluppo di vaccini (dati Lancet). Per quanto riguarda l’Italia, sono numerosi i progetti implementati da nostre Ong che dovranno trovare nuove fonti di finanziamento. Detto questo, è bene ricordare che l’organizzazione non è un ente di beneficenza. Fondata nel 1962 dal presidente John Fitzgerald Kennedy, l’Agenzia è stata un importante strumento del soft power americano, fornendo un’immagine “buona” degli Stati Uniti in parti del mondo dove gli USA sono noti principalmente per le follie militari. Per anni, i critici (tanti) hanno indicato i difetti intrinseci dell’Agenzia, sostenendo che gli aiuti alimentano la dipendenza invece di promuovere lo sviluppo a lungo termine. In molti Paesi, gli aiuti spostano le risorse interne, con miliardi persi a causa di frodi, cattiva gestione e corruzione. Gestione che riflette le esigenze dei donatori piuttosto che quella dei destinatari. La scomparsa dell’USAID può diventare un’opportunità per ripensare l’architettura globale dell’aiuto? Il 14 febbraio scorso c’è stato ad Addis Abeba un incontro ad alto livello dell’Unione Africana sul finanziamento interno in Africa, dove Oluremi Tinubu, First Lady della Nigeria, ha dichiarato che «l’Africa non può continuare a fare affidamento esclusivamente sul finanziamento dei donatori e sugli aiuti esteri, che, sebbene utili, sono spesso imprevedibili». Una imprevedibilità che adesso è chiara. Ma la sconsiderata cessazione unilaterale dei programmi sanitari globali non è certo la strada per istituire riforme. Il cambiamento dovrebbe essere strategico, trasparente, attuato con spirito di sostegno – non certo di imposizione – consentendo ai Paesi di farsi carico delle proprie esigenze di sviluppo e di salute. Una visione che sembra davvero lontana dal crudele intreccio di ignoranza e miopia dell’amministrazione Trump  

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