Mi ha sconcertato vedere al seggio dove sono andata a votare, in centro a Milano, un via vai continuo di anziani e di super anziani, chi con le stampelle, chi con la badante, chi in carrozzella, un esercito di individui decisi ad esercitare il loro diritto al voto nonostante gli acciacchi. Poi ho visto persone di sessant’anni, di mezza età e …. nient’altro. I giovani non c’erano, tranne qualche sparuta coppietta con il bimbo in braccio. Qualche tempo fa, intervistati da SkyTg24 diversi studenti universitari sostenevano che non avrebbero votato perché la politica non ha “niente in serbo” per loro, e non si è nemmeno preoccupata di garantire (molti studiano fuori sede) la riduzione dei biglietti ferroviari e aerei per tornare a votare nel luogo di residenza. I risultati di domenica scorsa, purtroppo, fotografano questo comune sentire. È evidente che la diserzione dalle urne di 16 milioni e mezzo di italiani, oltre che agli sfiduciati “adulti” della politica, è dovuto agli elettori sotto i 35 anni che nel nostro Paese sfiorano i 10 milioni. D’altro canto, secondo l’Istat, il 27 per cento dei 18-19enni e circa un quarto dei 20-24enni non partecipa alla vita politica, né in maniera attiva (con manifestazioni, seguendo comizi o le attività di un partito), né in maniera passiva (informandosi sulle questioni politiche). Dobbiamo preoccuparci? Direi di sì: se non votano i ragazzi che frequentano l’università, figuriamoci quel 23 per cento tra i 15 e i 29 anni che non studia e non lavora! Ma, come ha ben sottolineato Ernesto Galli della Loggia in un recente editoriale su “Il Corriere della Sera”, per l’ennesima volta sull’istruzione è calato il silenzio, nessun partito ne ha fatto un tema centrale della campagna elettorale. Eppure, scrive l’editorialista: «L’intero sistema dell’istruzione pubblica in Italia, dalla scuola dell’infanzia all’università, fa acqua da tutte le parti e la politica non si rende conto che questa sta diventando una delle cause principali dell’arretratezza del Paese». Ragazzi che dopo la laurea vanno all’estero in cerca di fortuna e che spesso trovano risposte che non vengono garantite nel nostro Paese, ma anche giovani senza particolari qualifiche che altrove trovano salari più alti. Le idee per ridare fiato ad un’istruzione che restituisca dignità al mondo del lavoro, sono tante. C’è chi propone il modello tedesco con i due indirizzi, uno, più teorico, orientato alla ricerca e all’insegnamento, l’altro di scienze applicate, con forti legami al mondo del lavoro, ma nessuno ha la ricetta in tasca. Bisogna lavorarci. E la politica? Guarda e passa….