Firenze 21 Dicembre 2024

«Un abito non è solo stoffa: un abito è un pensiero» diceva Elsa Schiapparelli. E proprio dal pensiero prende forma ogni tipo di arte, che nutre la conoscenza di un determinato periodo storico grazie al costante dialogo con gli usi e i costumi delle varie epoche. Ne è emblema il Museo della Moda e del Costume di Palazzo Pitti a Firenze, uno dei pochi in Italia dedicati interamente alla storia del costume e della moda.

La Palazzina della Meridiana nel giardino di Boboli a Firenze dove ha sede il Museo della moda e del Costume aperto nel 1983, ora rinnovato dopo un lungo restauro (foto di Sailko)

Riaperto nelle sale della Palazzina della Meridiana nel luglio 2024, a seguito di una lunga ristrutturazione, si articola in un percorso moderno e attuale che vede ora esposti in 20 sale, 60 abiti e accessori scelti tra gli oltre 15mila pezzi disponibili. In esposizione gli abiti del nucleo centrale della collezione permanente, ordinati secondo criteri storico-cronologici che accompagnano il visitatore nella storia del costume e della moda dal XVIII al XXI secolo, grazie al lavoro encomiabile della curatrice Vanessa Gavioli, che dice: «Questo allestimento è stato una sfida entusiasmante. Per l’esposizione permanente la scelta si è orientata sui capi più rilevanti della collezione. Sono stati restaurati e poi interpretati attraverso il complesso processo di vestizione e di mise-en-scène, nelle sale della neoclassica Palazzina della Meridiana, grazie a un gruppo di lavoro altamente qualificato. I capi provengono da tutto il mondo; abbiamo voluto mettere in campo i numerosi settori manifatturieri che fanno parte delle collezioni delle Gallerie degli Uffizi accostando così oggetti preziosi agli abiti e dando vita ad una sorellanza tra le arti, dove i dipinti dialogano con gli abiti».

Veduta d’insieme di quattro abiti dal 1830 al 1860 circa, tre di manifattura italiana e uno di manifattura inglese.

Dagli abiti settecenteschi, esempio di un’epoca in cui era la Corte a stabilire le mode del vestire, ad abiti in stile Impero dell’epoca napoleonica, passando per capi del periodo della Restaurazione, il percorso continua tra abiti da sposa ottocenteschi, e il vestito in rete ad ago meccanico nera su raso di seta avorio di Catherine Donovan (1826-1906), couturière newyorkese detta “la sarta pioniera che aveva vestito l’élite cittadina”.

Le sale della Moda del Novecento, vedono esibirsi il teatrale mantello-kimono creato da Mariano Fortuny per Eleonora Duse, la tunica flapper anni Venti di Chanel, lo splendore delle paillettes della mise indossata da Franca Florio e gli abiti da sera sgargianti di Elsa Schiaparelli, fino al lusso regale delle creazioni di Emilio Schubert, il sarto delle dive negli anni Cinquanta. E ancora, le stravaganze geometriche del vestito di Patty Pravo ideato nei primi Ottanta da Gianni Versace, la sensualità essenziale della guaina nera firmata Jean Paul Gaultier e resa celebre da Madonna, lo charm magico della collezione di Gianfranco Ferré per Dior negli anni Novanta.

Due abiti da sposa degli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento: in primo piano un abito in raso e gros di seta avorio di Charles Frederick Worth. Sulla parete il Ritratto di Signora con vestito in Plumetis di Tito Conti (1878-80).

«Quello che possiamo ammirare oggi nel Museo della Moda e del Costume non sono solo gli abiti, ma anche le sale restaurate e con una nuova illuminazione adatta alla presentazione e alla conservazione dei tessuti – racconta Vanessa Gavioli -. Le creazioni degli stilisti appaiono così non solo come la testimonianza del gusto di un’epoca che ha visto straordinari cambiamenti, o come attestazioni di genio degli stilisti, ma anche come oggetti d’arte in sé, dalle perline, ai fili colorati, passando per le piume: ogni dettaglio è importante». Hanno contribuito a creare il nuovo concetto di allestimento e a selezionare i capi della prima rotazione, gli architetti e le restauratrici che, tutti insieme, hanno consentito la realizzazione del nuovo progetto. La complessità dei capi impone un’attenta manutenzione settimanale di tutti i pezzi che avviene in modo scrupoloso. L’ interdisciplinarità che si sposa col dinamismo guidano questo allestimento. Il patrimonio del museo è stato inoltre interamente digitalizzato, attraverso campagne fotografiche e di catalogazione per inserire le collezioni del museo all’interno degli Archivi Digitali delle Gallerie.

Il Museo della Moda e del Costume di Palazzo Pitti fu inaugurato col nome di Galleria del Costume l’8 ottobre 1983 da Kirsten Aschengreen Piacenti, figura cardine nella formazione dell’attuale complesso museale di Palazzo Pitti. L’idea di istituire una galleria dedicata ai costumi storici – la prima in Italia – era maturata alla fine degli anni Settanta, nell’ambito della risistemazione del Museo degli Argenti, di cui Piacenti era direttrice.

Il Marchese Giovanni Battista Giorgini (1898-1971), considerato il padre dell’Alta Moda, fotografato negli anni Cinquanta nella sua Firenze

Subito dopo l’apertura del Museo, il costumista Umberto Tirelli offrì in dono un corposo nucleo della sua collezione, composto non solo da abiti storici di grande pregio, ma anche da costumi di scena. D’altra parte se l’atto fondante della moda italiana si deve proprio all’intuizione del marchese Giovanni Battista Giorgini, che organizzò nella Sala Bianca di Palazzo Pitti il 22 luglio 1952, la prima sfilata di moda italiana, pare quindi naturale che la sua moderna rappresentazione sia tornata a Firenze nel Palazzo che l’ha vista nascere.

Se la moda viaggia negli anni e nei decenni possiamo dire che il Novecento sia stato il secolo dai mille stili, e che sia certamente cambiato il modo di vedere ed interpretare l’alta moda dagli anni 2000 in poi. E chissà cosa troveremo nel Museo della Moda e del Costume tra qualche anno a rappresentare i giorni nostri. Oggi il rapporto tra haute couture e società va in direzioni diverse, le subculture non sono più solo mode giovanili, esiste una spinta dal basso verso l’altro che innesta per esempio la dimensione del fast fashion, un fenomeno che si basa sulla rapidità della moda e che negli ultimi anni ha rivoluzionato il senso dello stile.

Anni Venti del Novecento: veduta d’insieme con due abiti da sera charleston di manifattura italiana e Opera coat in velluto verde della casa di moda londinese Reville&Rossiter

Vanessa Gavioli aggiunge: «Negli anni Sessanta c’erano già delle subculture, come quella dark o punk, legate alla cultura musicale o altre identità complesse dove il giovane si doveva distinguere confondendosi in una società che aveva anche un potere economico dettato dal recente boom. Adesso le subculture giovanili hanno una base più intellettuale, sono più consapevoli; dall’altra parte c’è il modello che ha una derivazione dalla tv.
Sarebbe interessante oggi creare un dialogo costruttivo tra la società e la creatività della moda attuale ricordando che la decisione di come vestirsi è una scelta consapevole».

Completo da sera Kaleidoscope realizzato da Ken Scott (1979) su pattern di Susan Nevelson e completo Pull-together di Ottavio e Rosita Missoni (1973). Sulla parete Composizione astratta, Nadir di Corrado Cagli (1966), studio utilizzato per i costumi del poema “Jeux” di Claude Debussy, rappresentato al Teatro dell’Opera di Roma nel 1967

La creatività, oggi sempre di più, in realtà dovrebbe essere connessa alla consapevolezza, perché come disse Rosa Genoni, sarta e stilista antesignana del Made in Italy: «La moda è una cosa seria».

Immagine di apertura: Veduta d’insieme di tre abiti settecenteschi di manifattura italiana, due andrienne e una robe à la polonaise, un prezioso vaso (Manifattura di Meissen, 1720 ca.) e alcuni accessori coevi. Sulla parete il Ritratto di Maria Luisa di Borbone, futura Regina di Spagna di Laurent Pecheux (1765).

  • Le foto sono una gentile concessione del Museo della Moda e del Costume
Fiorentina, laureata in Scienze Politiche all’università del capoluogo toscano, ha collaborato fin da giovanissima con alcune testate giornalistiche della sua città. Giornalista pubblicista dal 2006, ha lavorato presso l’emittente televisiva Video Firenze - Toscana Channel, poi all’ufficio stampa della Casa Editrice Giunti fino al 2017. Oggi è giornalista freelance e si occupa di uffici stampa e comunicazione. Vive a Marradi, nel Mugello. Nel 2022 ha pubblicato, insieme al collega Franco Mariani "Lelio Lagorio, un socialista tricolore", per le Edizioni dell'Assemblea della Regione Toscana

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.