Milano 25 Maggio 2021

L’illusione di aver sconfitto le malattie infettive, grazie agli antibiotici e ai vaccini, è durata meno di mezzo secolo. Addirittura si era anche smesso di studiare nuovi antibiotici. L’arroganza scientifica dell’umanità, quella che si crede invincibile e priva di dubbi, ne sta uscendo con le ossa rotte. Perché sono arrivati i batteri resistenti agli antibiotici e nuove varietà di virus che non conoscevamo. E fra le ragioni che favoriscono lo sviluppo di batteri resistenti, c’è un’alleanza tra arroganza scientifica e interessi economici. Per esempio, l’uso eccessivo e inappropriato di antibiotici è legato in parte allo sviluppo di un mercato che esula dalla medicina. Se ne prescrivono troppi, nelle dosi sbagliate e di tipo errato, certo, ma vengono anche usati come pratica abituale negli allevamenti animali a soli fini economici. Antibiotici che poi entrano nella catena alimentare umana.

Le scimmie sono uno dei serbatoi di virus che potrebbero fare il salto di specie e contagiare l’uomo. E’ già successo con l’Aids negli anni Ottanta (foto di Andre Mouton)

L’IPBES, il gruppo di lavoro intergovernativo sulla biodiversità, sostiene che i mammiferi e i volatili sono depositi naturali di 1,7 milioni di virus che ancora non conosciamo. Circa la metà di questi potrebbe avere la capacità di infettare gli esseri umani, se si creassero le condizioni capaci di favorire il salto di specie, lo spill over. I serbatoi principali sono i pipistrelli, i roditori e le scimmie, oltre che alcuni uccelli (principalmente acquatici) e gli animali da allevamento (maiali, cammelli, pollame). Ogni anno si rischia di veder comparire più di cinque nuove malattie infettive, ognuna delle quali potrebbe trasformarsi in una pandemia.

La colpa, però, non è della Natura. Piuttosto, dell’impatto delle attività umane sulla Natura. Quali? L’elenco è lungo: deforestazione, espansione irrazionale delle città, agricoltura intensiva, decimazione di varietà selvatiche a scopo commerciale, riduzione della biodiversità, mercati di animali selvatici vivi tipici del mondo orientale. E, non ultimi, nella scala dell’impatto nocivo, i cambiamenti climatici dovuti all’aumento di anidride carbonica (CO2) in eccesso.

Un mercato rionale ad Hanoi, in Vietnam. La vendita di animali vivi è diffusa in tutto il mondo asiatico (foto di Alessio Pappagallo)

«Dal pipistrello all’uomo, passando per altre specie, il percorso dei coronavirus è ormai noto. Che cosa fare? Cominciare ad evitare di entrare nello status naturale di questi animali selvatici alterandone l’habitat. Parlo anche delle deforestazioni massive, degli inquinamenti vari, alterazioni degli equilibri naturali innescati dall’uomo», commenta Giorgio Poli, già Preside della Facoltà di Medicina Veterinaria dell’università di Milano.
E dall’ormai sdoganato (dall’Unione Europea) uso alimentare degli insetti dobbiamo aspettarci nuovi rischi, tipo virus? «Assolutamente no, questa scelta è buona cosa come nuova fonte di farine proteiche del tutto sicure. Anche perché si tratta di insetti allevati con tutte le garanzie di sicurezza», rassicura Poli.
Lo studio più recente sulle nuove malattie infettive che si sono sviluppate negli ultimi decenni, risale al 2008 ed è di un gruppo di ricercatori, fra cui Jones, Patel, Levy e altri, che pubblicarono la loro ricerca sulla rivista Nature. Questi studiosi hanno appurato che dal 1940 al 2004 si sono verificate 335 nuove malattie infettive, dovute per il 54 per cento a batteri e rickettsie, per lo più batteri che avevano sviluppato resistenza agli antibiotici come lo Stafilococco aureo resistente alla vancomicina. Al secondo posto vengono i virus che rappresentano il 26 per cento delle nuove malattie infettive. Infine, i protozoi (11 per cento), i funghi (6 per cento) e i vermi (3 per cento).

Un mercato di animali vivi a Guangzhou, in Cina. Qui si tratta di gatti, ma vengono venduti animali di ogni tipo, anche selvatici come il pangolino

Ma il dato più sorprendente è che il 60 per cento di tutte le nuove infezioni è stata causata da patogeni di origine animale (le cosiddette zoonosi), il 72 per cento dei quali provenienti da animali selvatici. E se concentriamo l’attenzione sulle nuove infezioni comparse nel decennio 1990-2000 si scopre che le malattie provenienti da animali selvatici rappresentano il 52 per cento del totale. Più della metà! Perciò lo studio conclude che è fondamentale capire in che modo si sono intensificati i contagi da parte degli animali selvatici. Passando da quest’ultimi a quelli domestici, a quelli negli allevamenti intensivi, all’uomo.

Il passaggio di agenti patogeni dagli animali agli umani è noto come spill over, traducibile come salto, passaggio di specie. Il più delle volte la contaminazione si esaurisce senza conseguenze di rilievo, altre volte invece si trasforma in malattia ad alta trasmissibilità. Un caso del genere si è verificato negli anni Settanta-Ottanta con l’Aids: un retrovirus che abitualmente parassitava scimpanzé e gorilla dell’Africa Occidentale transitò negli umani per mezzo del sangue infetto proveniente dagli animali catturati e macellati. Il virus, poi battezzato Hiv, ben si adattò alle cellule umane e il contagio continuò per trasmissione diretta da umano a umano. Ma ancora prima, oltre un secolo prima, un virus della famiglia dei coronavirus (oggi causa del semplice raffreddore) passò dai ratti ai bovini, all’uomo. Risultato: una pestilenza causò un milione di morti in Europa in un paio d’anni.

Carlo Urbani (1956-2003), microbiologo, è stato il primo ad identificare la SARS, la polmonite atipica responsabile dell’epidemia esplosa tra il 2002 e il 2003, di cui anche lui fu vittima

Storia analoga per la Sars, polmonite virale comparsa in Estremo Oriente nel 2002-2003 e che, grazie anche a Carlo Urbani, il medico italiano che isolò il virus e che poi ne rimase ucciso, per fortuna rimase circoscritta. Secondo le ricerche condotte da un gruppo di ricercatori cinesi dell’Istituto di virologia di Wuhan, la malattia proveniva da alcune specie di pipistrelli che vivono in grotte della provincia dello Yunnan. E si ritiene che anche il Sars-CoV2, che scatena la malattia nota come Covid-19, sia da attribuire al pipistrello e al pangolino, mammiferi comunemente cacciati e consumati in Cina.
Non solo la caccia, o l’uso di animali selvatici per prodotti della medicina tradizionale cinese, sono responsabili. La contaminazione da parte delle specie selvatiche può essere anche conseguenza della deforestazione, che ha spinto la fauna fuori dall’habitat naturale per sopravvivere.

Un esemplare di pangolino. In Cina è un piatto prelibato. Potrebbe essere lui ad aver trasmesso all’uomo il virus del Covid 19

Dagli archivi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: in Africa Occidentale il primo caso di Ebola si ebbe nel dicembre 2013 a Meliandou, un villaggio nel sud della Guinea ai confini con la foresta, che però era stata distrutta per l’80 per cento da imprese minerarie e del legname. Di conseguenza il villaggio era stato infestato da pipistrelli fuggiti dal loro habitat distrutto. A conferma, il primo morto di Ebola fu un bimbo di un anno e mezzo che giocava abitualmente all’ombra di alberi popolati da pipistrelli che precedentemente vivevano nella foresta. Del resto, non si tratterebbe neanche del primo caso di virosi disseminata da pipistrelli. Nei primi anni del nuovo millennio, in Bangladesh si ebbero circa 200 casi di Nipah, un’encefalite virale ad alta mortalità. E risultò che tutti avevano consumato linfa estratta dalla corteccia di una particolare specie di palma. Ulteriori indagini accertarono che il veicolo d’infezione era stata proprio la linfa contaminata dalle deiezioni di pipistrelli che si posavano sulle palme per nutrirsi anch’essi della stessa linfa.

Immagine di apertura: foto di Syaibatue Hamdi

Scomparso improvvisamente nel 2022, era giornalista e scrittore. Nato a Roma nel 1954, si occupava di informazione medico-scientifica e sanitaria dal 1976. Ha legato gran parte della sua carriera al "Corriere della Sera". Negli ultimi anni dirigeva URBES, primo magazine italiano che si occupa di salute nelle città. Insieme a Umberto Veronesi, ha scritto "Una carezza per guarire" (Sperling & Kupfer 2004), "Le donne vogliono sapere" (Sperling & Kupfer 2006), "L’eredità di Eva" (Sperling & Kupfer 2013), "Verso la scelta vegetariana" (Giunti 2011), "I segreti di lunga vita" (Giunti 2013), "Ascoltare è la prima cura" (Sperling & Kupfer 2016). Suo anche "L’Artusi vegetariano "(TAM editore, 2016) e "L’orto di Michelle" (Universo Editoriale, 2017) scritto con Federico Serra. L'ultimo, “Il genio in cucina” (Giunti editore, 2019)

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