Venezia 28 Maggio 2022
La storia della Biennale ha sempre registrato i mutamenti nella società. Non fa eccezione anche questa 59esima edizione (Il latte dei sogni, titolo e tematiche ispirate all’opera letteraria e artistica della pittrice surrealista Leonora Carrington) in cui le artiste donne, invitate alla Esposizione Internazionale della curatrice Cecilia Alemani, e nei vari padiglioni, fanno la parte del leone, anzi delle leonesse. C’è chi sostiene che anche questa nuova visione dell’arte al femminile sia alla fine strumentale, ossia politically correct con il momento storico, certo è che la Biennale altro non fa che certificare uno stato di fatto: le artiste donne oggi sono tante (hanno incominciato in secoli dove esserlo era un’eccezione, vuoi perché erano figlie d’arte o monache dedite alla pittura nei conventi) e, finora, non hanno avuto la meglio nel mercato, rispetto ai colleghi maschi. Il divario è ancora incolmabile, ed è quanto “certificano” le aste.

Il Leone d’oro alla miglior partecipazione nazionale alla Biennale è stato assegnato alla Gran Bretagna, rappresentata da Sonia Boyce, che da anni lavora sulla black identity partendo dalla cultura musicale, specialmente dal canto che anche qui, nel padiglione, assume forma di un’avvolgente installazione sonora, con sole voci femminili che si rincorrono come in una jam session. In questo cambiamento storico e sociologico che la Biennale ci restituisce (1433 opere, 213 artisti da 58 nazioni di cui 180 non vi hanno mai partecipato, 26 artisti italiani e 80 nuove produzioni) la presenza degli artisti africani o di origine, è diventata un’esigenza molto sentita a livello mondiale, ed è un trend che ha cominciato ad imporsi con fiere specializzate come la 1:54 e AKAA. Così il neoclassico, palladiano padiglione degli USA con l’intervento di Simone Leigh (prima donna di colore a rappresentare gli Stati Uniti e vincitrice del Leone d’Oro quale miglior partecipante della mostra della curatrice Alemani) viene radicalmente trasformato esteriormente in una capanna da villaggio africano. Mai nessun artista aveva osato tanto, ci voleva il coraggio e la consapevolezza di una donna per affrontare di petto il proprio Paese, la questione afroamericana dal suo interno (specie dopo l’uccisione di George Floyd a Minneapolis) e l’affermazione orgogliosa delle proprie radici. La scultura posizionata davanti al padiglione è chiaramente un idolo, ma ricorda come Giacometti e Picasso abbiamo guardato all’arte “primitiva” (così come all’epoca si chiamava l’arte proveniente del continente africano) e preso a piene mani da essa per realizzare le loro opere.

L’orgoglio di appartenere alla cultura africana può avere anche una valenza estetica, Laetitia Ky, tra gli artisti del padiglione della Costa d’Avorio, si lascia ispirare dalle elaborate acconciature delle donne del suo Paese, e fa dei suoi capelli (con l’aggiunta delle extension) delle costruzioni sculturali, postando poi i suoi autoritratti su Tik Tok, facendo il pieno di fan (sei milioni). Gli artisti maschi non sono ovviamente scomparsi in quest’ondata muliebre che ha investito la Biennale. Nel padiglione coreano Yunchul Kim è proiettato nel futuro elettronico (con lo slancio tipico della cultura asiatica contemporanea); due le installazioni, quella più affascinante rappresenta un dragone il cui corpo è realizzato con pannelli elettronici iridescenti azionati in tal modo da far respirare il “mostro”, così annullando la barriera tra artificiale e naturale. Il nostro Gian Maria Tosatti, che rappresenta l’Italia, ci porta dentro la problematica del lavoro, trasportando pezzi di fabbriche dismesse dentro al padiglione. In un totale silenzio da cattedrale nel deserto, possiamo solo immaginare il forte rumore delle macchine utensili spente dalle tante crisi industriali che hanno investito il nostro Paese, passato dal boom economico del dopoguerra alle fabbriche con i cancelli sbarrati e con i capannelli degli operai in sciopero.

L’italiano Arcangelo Sassolino, scelto da Malta insieme ai maltesi Giuseppe Schembri Bonaci (che qui esegue delle incisioni nell’installazione) e a Brian Schembri (compositore), ha un percorso unico nel panorama dell’arte contemporanea. L’artista vicentino ha sempre piegato con impeto la tecnologia all’arte, portando la tekné agli estremi, come fa anche questa volta.

Utilizzandola in modo spettacolare nel progetto Diplomazija astuta, essendo stato chiamato a “competere” con la Decollazione di San Giovanni Battista di Caravaggio, capolavoro del 1608 custodito a Malta, nell’Oratorio de La Valletta. Caravaggio è la luce, è il chiaroscuro, e per Arcangelo Sassolino la luce è come un flash che rischiara la notte dell’uomo e del martirio. In un ambiente appositamente circoscritto egli fa cadere a intervalli regolati delle gocce incandescenti di acciaio liquido che vanno poi a spegnersi, sibilando, in sette bacini di acqua (sette quanti sono i personaggi del dipinto).

Nell’atmosfera, oltre allo sprigionarsi di lampi rossi, si dirama la musica di una partitura percussiva composta da Brian Schembri (e ispirata al canto gregoriano Ut queant laxis di Guido d’Arezzo dedicato a Giovanni Battista e su altri motivi ritmici). Di Arcangelo Sassolino abbiamo sentito parlare anche in questi giorni, in occasione del trentennale delle stragi di Capaci e di via d’Amelio dove perirono assassinati il giudice Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e gli agenti. In una delle più belle piazze di Palermo, quella dei Quattro canti, dove chissà quante volte i magistrati sono transitati, l’artista, su commissione della Fondazione Falcone, ha installato il braccio di un’escavatrice (trovata in un cantiere, bruciata e ridotta a rottame, bloccata per questione d’appalti e che qui ha assunto l’aspetto di un mostro acefalo), riverniciata di bianco.

La Biennale continua la sua vita con iniziative in presenza (al teatro Piccolo Arsenale) e poi anche in streaming, con il public program, Meetings on Art (conversazioni, conferenze, dal 7 all’11 giugno), dove le artiste partecipanti, le curatrici, pensatrici e scrittori affronteranno i temi che discendono dall’opera di Leonora Carrington (1917/2011) fino a confluire in questa 59esima edizione: metamorfosi dei corpi, fluidità dei generi, l’occulto, l’alchimia, l’affabulazione, la relazione individui e tecnologie, la fine della centralità dell’Uomo, la condizione post-umana, il rapporto di simbiosi con la Terra e con altre specie, le identità mutanti, la combinazione umano-digitale.
Immagine di apertura: Padiglione Usa, opera di Simone Leigh
- tutte le foto del servizio sono di Francesca Pini