Pavia 27 dicembre 2024
Sembra la prua di una nave incastonata sulla scogliera a picco sul mare di Punta Masullo, uno degli angoli più selvaggi dell’isola di Capri, una presenza aliena che s’immerge nelle profonde acque blu sottostanti.

La villa, una delle più grandi testimonianze dell’architettura moderna e razionalista, costruita fra il 1938 e il 1942, fu la dimora di Curzio Malaparte, all’anagrafe Curt Erich Suckert, un letterato italo-tedesco sfrontato, vacillante tra estremismi religiosi e politici, tra i protagonisti di circoli artistici e letterari d’avanguardia novecenteschi, tuttora amato e odiato. Nel 1933 si scontrò con Mussolini e, come conseguenza, fu esiliato nel puntino in mezzo al Mediterraneo che è Lipari. L’esilio ebbe però un effetto inaspettato: Malaparte, dopo il rilascio, preferì la lontananza e il ritiro da una regolare vita sociale. Fu così che nel 1937 acquistò per sole dodicimila lire un appezzamento di terra in un angolo di Capri che lo stesso Malaparte descrisse così: «C’era a Capri, nella parte più selvaggia, più solitaria, più drammatica, in quella parte tutta volta a mezzogiorno e ad oriente, dove l’Isola da umana diventa feroce, dove la natura si esprime con una forza incomparabile, e crudele, un promontorio di straordinaria purezza di linee, avventato in mare come un artiglio di roccia».

La forte amicizia con Galeazzo Ciano fu d’aiuto per ottenere i permessi edilizi nonostante i vincoli paesaggistici vigenti sull’area di Punta Masullo, che dal centro del borgo di Capri è raggiungibile solamente attraverso un’ora e mezza di passeggiata.
Malaparte affidò il progetto per la sua dimora a Adalberto Libera, architetto di grande talento, il quale, in una tormentata collaborazione col proprio committente, tentò di coniugare modernismo italiano ed elementi archetipici classici. Come per Oscar Niemeyer per Brasilia, si dice che il progetto della casa fosse stato schizzato da Libera su dei tovaglioli durante una cena tra amici. La verità è che Malaparte rivoluzionò completamente la proposta del progettista, imponendo una serie di dettagli che oggi risultano essere i tratti distintivi dell’architettura della villa. Così, se a distanza di quasi un secolo a sorprendere è la forma della villa, integrata quasi perfettamente sul promontorio su cui spicca però per il rosso pompeiano di cui è rivestita, è proprio la combinazione di scelte che conferma la poliedrica personalità̀ di Malaparte.

Tra queste, la più iconica riguarda senza dubbio il tetto della villa, dominato da una scala di trentadue scalini che conduce al solarium che, in realtà, tende all’infinito e che si apre come un teatro greco immerso nel paesaggio; la seconda scelta è l’ampia terrazza segnata dal setto arcuato che domina il mare, regalando una vista ineguagliabile sui Faraglioni.
Nonostante la villa appaia come incastonata nel promontorio e nella roccia su cui sorge, la sua architettura brutalista fu a lungo oggetto di dibattito, difesa ed elogiata da un lato da chi ne riconosceva l’essenza complessa ricca di fascino, dramma, modernità razionalista, natura e poesia e detestata ed osteggiata dall’altro, da chi la considerava un sopruso al paesaggio.
Eppure, Villa Malaparte appare sin dal subito il gesto di una complicatissima personalità che nell’architettura della propria dimora d’artista dà forma al proprio concepire il rapporto tra paesaggio e abitazioni, tra uomini e cose e tra esterno e interno, traducendosi in un oggetto di design inteso come strumento di affermazione della propria identità.
Per questo lo scrittore rimane profondamente deluso dalla proposta di Libera nella quale i volumi della casa non sono ancora uniti tra loro dalla scenografica scalinata e la terrazza non è ancora completata dal setto arcuato a cui verrà affidato il ruolo di inquadrare l’incredibile panorama del golfo a mo’ di quinta scenica.

Questa soluzione rende a tutti gli effetti la superficie del terrazzo una stanza a cielo aperto arredata da quest’unica vela che di fatto è il sostegno mascherato della canna fumaria, ma che fungeva da separé dagli sguardi indiscreti della gente locale. Il contrasto tra la vita precedente e posteriore l’esilio sono evidenti nella spartanità inaspettata degli interni, in cui i veri protagonisti sono i materiali dei pochi arredi (di cui alcuni disegnati dallo stesso Malaparte) e il paesaggio incorniciato nelle ampie vetrate che si aprono sul mare.
Dalla morte del proprietario nel 1957, la villa vive dell’essere capolavoro architettonico e musa ispiratrice per designer contemporanei. La bellezza selvaggia del luogo in cui è incastonata e la sua aura malinconica e dirompente ne hanno fatto uno dei set cinematografici più ambiti. Dal grande cinema con Le Mèpris (Il disprezzo), di Jean-Luc Godard alla moda – dalle foto di Karl Lagerfeld, agli spot di Zegna, Saint Laurent, Louis Vuitton – Casa Malaparte ha ospitato i più grandi nomi, attratti dalla sua bellezza inarrivabile. Attualmente non è aperta al pubblico perché proprietà degli eredi del giornalista e scrittore.

Simon Porte Jacquemus ha ispirato il proprio brand di moda a questa dimora incantata, scelta nello scorso giugno come sede della sfilata celebrativa dei 15 anni dalla fondazione del marchio.
Con la creazione della Villa, quello a cui Malaparte ambiva era dare vita all’opera d’arte totale, la rappresentazione del culmine della propria vita, del proprio pensiero, del proprio personaggio e, forse, del proprio tempo.
Immagine di apertura: la villa di Curzio Malaparte, progettata negli anni Trenta dall’architetto Adalberto Libera con molti suggerimenti dello scrittore; un parallelepipedo rosso pompeiano (foto di Raffaele Celentano/Contrasto)