Pavia 23 Gennaio 2021
Mai come in questo momento, con una pandemia estesa a tutto il pianeta, ognuno di noi sta sperimentando sulla propria pelle la paura della malattia. Davanti all’ansia che inevitabilmente ci assale, le reazioni possono essere, a seconda della struttura di personalità di ciascuno, diametralmente opposte: la sottovalutazione del rischio o, sul versante opposto, il panico. Nel primo caso, la nostra vita procede normalmente, non percepiamo il pericolo e, di conseguenza, non mettiamo in atto comportamenti di autoprotezione. Nel secondo ci sentiamo costantemente minacciati e in balia di un nemico invisibile. Una reazione in qualche modo equilibrata, equidistante da questi due estremi è rara, vista la situazione che il Covid 19 ha creato, una novità eccezionale per dimensione del fenomeno e durata.

«Come sentimento indispensabile alla sopravvivenza la paura non va demonizzata – afferma il sociologo Enrico Finzi, attento osservatore dell’evoluzione dei modelli esistenziali, di comunicazione e di consumo – . Il problema nasce quando arriva ad un livello di angoscia da rovinare la vita. La paura in questo momento è giustificata e rappresenta un fenomeno di grande rilevanza, dal momento che non sappiamo ancora nulla di preciso di questo virus; quindi, un certo allarme collettivo non è insensato. Sarebbe utile usare la paura per minimizzare il rischio: con mascherine, gel igienizzanti e distanziamento, si dovrebbe attuare un mix di razionalità, egoismo e altruismo evitando di cadere nella denegazione del pericolo, con abbassamento delle difese e assunzione di uno stile di vita fatalistico e irresponsabile».
Un equilibrio non facile, comunque, anche perché non possiamo dimenticare l’aspetto “politico” della vicenda, con il fiorire delle convinzioni più irrazionali e complottistiche, come quella che il virus non sia mai esistito, sia soltanto un’invenzione di chi vuole vendere vaccini, che la scienza sia asservita totalmente alle multinazionali. «Ognuno ci mette il suo delirio persecutorio – continua il sociologo milanese – . Volendo quantificare, ne è vittima il 10 per cento circa della popolazione, mentre il 29 per cento rientra nei cosiddetti “’paralizzati”, quelli che sovrastimano la minaccia, non sono più usciti di casa dalla scorsa primavera e ancora oggi non vedono nessuno. Stando alle ultime indagini, appartengono ai ceti medio bassi e bassi e hanno in media un’età dai cinquant’anni in su».

Che fare allora? «Il mio primo consiglio è quello di tenersi informati ma non troppo – prosegue Finzi – , soprattutto per evitare uno stato depressivo e confusionale, la paura dell’altro e della folla. Ascoltare i bollettini non più di una volta al giorno, evitare gli opposti estremismi e non credere alle promesse miracolistiche di integratori alimentari e di farmaci non validati per il Covid (vitamina D, idrossiclorochina). Diventa indispensabile a questo punto difendere la qualità della vita, non morire socialmente, uscire a fare quattro passi, vedere un bel film o spettacolo in tv, giocare a scacchi con gli amici, con mascherina e per un tempo limitato, vivere biologicamente e non morire psichicamente».
E lo psicoanalista come vede la questione? «La pandemic fatigue rappresenta un momento in cui la paura assume gli aspetti più deleteri dell’angoscia – risponde Augusto Iossa Fasano, psichiatra e psicoanalista –, qualcosa di perturbante che tuttavia ci fa sperare in una scienza biomedica che si lasci aiutare sempre di più dal sapere psicoanalitico. Come del resto ha iniziato a fare nel recente passato e continua oggi nel sostegno agli operatori sanitari coinvolti nella cura dei pazienti Covid».

Per lo psicologo Fabio Sbattella, Direttore dell’Unità di ricerca in Psicologia dell’emergenza dell’Università Cattolica di Milano, autore di diversi libri in proposito – tra questi Fondamenti di psicologia dell’emergenza (Franco Angeli) -, il primo consiglio è quello di educarsi a “non aver paura della paura”. «Prometeo quando rubò il fuoco agli Dei non scappò impaurito – esordisce Sbattella – divenne curioso; così lo dominò. Davanti al nuovo virus si è scatenata la curiosità e si è capito che non è follia prendere per mano il pericolo, perché una delle più grandi risorse dell’umanità, davanti ai guai, è cercare di capire».
Del resto, secondo lo psicologo milanese la paura è la base del coraggio. Padre Puglisi, vittima della criminalità palermitana, disse che bisogna avere il coraggio di avere paura della mafia. «Ma coraggio non è assenza di paura – continua Sbattella – è piuttosto il tentativo di assumersi dei rischi in maniera consapevole. Le tappe da raggiungere sono quattro: la prima è la consapevolezza del pericolo, la seconda si fonda sulla misurazione della paura, la terza è attrezzarsi per arginarla, la quarta è affrontare il pericolo per risolverlo».

È un messaggio inviato soprattutto agli adolescenti, troppo spesso accusati di atteggiamenti irresponsabili e di assembramenti pericolosi, ai quali certamente non fa bene stare sempre in casa, evitare di fare le cose. «Il mio invito – conclude Sbattella – è di valorizzare la paura e costruire situazioni di coraggio consapevole, con il rischio anche di contagiarsi. Le prese di posizione pavide lasciano troppo spazio alla paura. Il nostro dovere è di offrire soprattutto ai più giovani il diritto di avere coraggio».
Fabio Sbattella ha scritto una fiaba illustrata per bambini sul Covid 19, dal titolo Nano Gianni e i granelli rossi, pubblicata da Giunti, perché le paure si vincono anche con la fantasia.
Immagine di apertura: foto di khusen Rustamov