Milano 27 Novembre 2023
Prima di varcare quella soglia e consegnare i vostri sudati risparmi a uno sconosciuto, ripensate alla frase di Bertolt Brecht: «Cos’è rapinare una banca a paragone del fondare una banca?». Aforisma che l’operaio Antonio, 43 anni passati al tornio, di certo non conosce ma che, dopo aver vissuto la calata agli inferi dei truffati da una finanza senza scrupoli, potrebbe scrivere lui stesso.

Insieme con tutti gli altri, le centinaia di migliaia di persone, come lui vittime di crack bancari, coinvolte in operazioni oscure, depredate da un giorno all’altro di ogni loro avere, mai risarcite, i più fortunati in minima parte, senza neanche la soddisfazione di veder puniti i responsabili di quegli atti criminali.
Con asciuttezza e senza retorica, Antonio Albanese racconta nel suo nuovo film, Cento domeniche, uno degli scandali più crudeli e ripugnanti degli ultimi decenni: famiglie rovinate dall’avidità di un sistema bancario cinico e malavitoso, pronto a approfittare della buona fede e dell’ignoranza dei clienti per imbrogliarli e depredarli non solo dei loro soldi ma della loro dignità.

Con sdegno e passione Albanese s’inoltra nella storia di un uomo qualsiasi a cui presta la faccia e che molto gli somiglia: a partire del nome, dall’età, 59 anni, prepensionabile, dal fatto di esser stato anche lui operaio, allo stesso tornio della fabbrica del film, a Olginate, il paese del Lario dove è nato. E ancora, come il suo protagonista, anche Albanese ha una figlia in età da marito e una madre molto anziana che, assicura, somiglia a quella dolcemente svanita, interpretata da una stupenda Giulia Lazzarini.
Ed è proprio in occasione dell’imminente matrimonio della figlia che l’operaio Antonio, deciso a pagare le spese di una cerimonia sognata da sempre, bussa alla piccola banca del paese per ritirare una parte del suo gruzzolo. Trentamila euro, cifra con cui, fatti due conti, dovrebbe starci anche l’apparecchio acustico della madre.
Ma a sorpresa, la banca di cui è da sempre cliente, la stessa dove andava anche suo padre, e che in paese è detta “il confessionale”, scrigno sicuro di ogni segreto, davanti alla richiesta di incassare parte dei suoi risparmi cambia di colpo atteggiamento. Gli impiegati si fanno sfuggenti, a occuparsi di lui è il direttore in persona, uno nuovo, appena arrivato in sostituzione del precedente misteriosamente sparito. Untuosamente gentile, gli assicura che le sue azioni vanno talmente bene che sarebbe un peccato venderle, se gli servono quei soldi molto meglio chiedere un prestito. Una firmetta qui, e tutto è risolto.

Antonio esita, quelle azioni lui non sapeva nemmeno di averle, ma sotto il contratto – chi li legge i contratti? – c’è la sua firma. Così, ne mette un’altra. La sua fede nell’onestà del funzionario che tanto si preoccupa di salvaguardare il suo patrimonio, è totale.
Intanto le voci corrono. Titoli allarmanti sui giornali, chiacchiere al bar e alla bocciofila, l’avvertimento sussurrato da un giovane impiegato di ritirare subito tutto quello che ha, lo spingono a rivolgersi al padrone della fabbrica che considera un amico (Elio De Capitani, caimano più che mai) che lo rassicura: «Tranquillo, se la banca va a picco, andiamo a picco tutti».
Tutti, tranne il caimano che i suoi averi se li è messi in tasca fin dalle prime avvisaglie, si ritrovano mazziati e gabbati. Qualcuno la prende male, qualcuno malissimo. Antonio peggio di tutti. Incredulo, angosciato, confuso, non riesce a venire a patti con nessuno, tanto meno con se stesso. La sua reazione sarà imprevedibile e radicale.
«Dedico il film a tutti gli italiani rovinati dal crack della Popolare di Vicenza e altre banche senza scrupoli» ha dichiarato Albanese che, per questo suo quinto film da regista, ha lavorato due anni a raccogliere dati e testimonianze di chi ancora oggi patisce le conseguenze di quelle truffe rimaste in gran parte impunite. A cominciare da Gianni Zonin, patron delle Popolare vicentina, che nonostante i sei miliardi di euro persi da 118mila piccoli azionisti, non ha fatto un solo giorno di carcere. E la confisca di 963 milioni di euro è stata annullata in appello.
Dopo i danni, la beffa. Le cento domeniche del titolo, quelle che un operaio deve sacrificare per costruirsi la casa nei weekend, sono l’altra faccia di un Paese dove l’ingiustizia viene messa in pratica senza vergogna. Dove non solo la classe operaia non è mai andata in paradiso, ma nemmeno la gente perbene.
Immagine di apertura: Antonio Albanese in una scena di Cento Domeniche, dove veste i panni dell’operaio Antonio che quando va a ritirare in banca i risparmi di una vita, scopre che sono spariti per un crack bancario. Come ce ne sono stati tanti in questi anni
Le foto del servizio sono di Claudio Iannone