Milano 23 settembre 2020

 Quattro anni fa, il 13 ottobre del 2016, moriva a Milano Dario Fo.  Aveva novant’anni. Per me fu un evento inaspettato perché lo avevo intervistato pochissimi mesi prima per il mio libro sulla vecchiaia, “Restare giovani si può” (Giunti) e l’avevo trovato in gran forma. Ma mi dicono che non si risparmiasse, la vitalità era straripante, il fisico non andava di pari passo. Oggi mi fa piacere ricordarlo pubblicando uno stralcio di quella intervista.

Giugno 2016: La casa in Porta Romana è piena di luce, di colori, di quadri. L’ultimo, in lavorazione, troneggia sul cavalletto di fronte all’entrata; accanto, un affastellarsi di boccette colorate. Il Maestro ha inaugurato da poco, il 13 maggio, una personale a Milano alla Miart Gallery di Brera, Razza di Zingaro, ispirata al suo omonimo libro, edito da Chiarelettere. La mostra ha avuto un successo tale da far chiudere le porte per contenere il pubblico, ma gli appassionati hanno acquistato i quadri in anteprima, sbirciandoli, addirittura, dalla vetrina. Dario Fo pittore apprezzato, ma anche, e soprattutto, drammaturgo, attore, scrittore (l’ultimo libro, Dario e Dio, scritto con Giuseppina Manin, pubblicato da Guanda, è stato per settimane ai primi posti delle vendite), illustratore, scenografo, attivista, Premio Nobel per la letteratura 1997. «Lei è un monumento nazionale, uno dei pochi che resistono», gli dico entrando nel suo studio pieno di fotografie di Franca Rame, alcune bellissime, e dei nipoti, ma il complimento lo irrita. «Non ci tengo – ammonisce -; non bisogna fidarsi degli italiani. Guardi che cosa è successo a Gianroberto Casaleggio. Prima era un essere indegno, un guru, un furbacchione; defunto, è diventato di colpo una persona stupenda, tutti hanno scritto che era rispettabile, di alto livello. Ora sono oggetto di gratificazioni, anche eccessive, poi da morto ….».

Dario Fo con Giuseppina Manin, la giornalista del “Corriere della Sera” con cui ha condiviso molte iniziative editoriali di successo, ad Helsinki nel 2013 per la presentazione di uno dei loro libri.

Maestro, che cosa è per lei il palcoscenico oggi?

«Non è cambiato nulla andando su con gli anni: è parte integrante della mia vita, come lo è sempre stato. Da qui a breve farò di nuovo Mistero Buffo (la famosa serie di monologhi, replicati migliaia di volte, andata in scena per la prima volta nel 1969, ndr), una selezione dello spettacolo dei “primordi”, a Padova, Milano, Roma. Poi altrove, vediamo».

I problemi sociali sono stati importanti nella sua vita, ma lei non è mai entrato in politica……

«No, infatti: ho capito che il gioco si svolge a un livello troppo basso. Franca, dopo aver deciso di farlo (senatrice con l’Italia dei Valori dal 2006 al 2008, ndr) già dopo quattro mesi diceva: “Ho sbagliato tutto; le persone non stanno in Parlamento per fare gli interessi degli italiani, ma solo per aiutare se stesse”. Ciononostante, è rimasta due anni e si è data molto da fare; ha combattuto una battaglia perché fosse riconosciuta la responsabilità dell’uranio impoverito sulla salute dei militari. Battaglia vinta: lo Stato ha dovuto risarcire. Bisogna anche chiedersi che cosa significa fare politica; credo che si faccia anche informando, svelando verità taciute, alterate, mascherate».

Lei è un privilegiato, si è costruito una vita piena di interessi. Ma la persona qualsiasi che arriva alla pensione, che cosa può fare?

«Se il pensionato non trova un contrappunto a quello che era il suo lavoro, tale da farlo sentire vivo e partecipe, è morto. Io mi rendo conto che non devo perdere il ritmo; allora scrivo, dipingo, recito, mi preoccupo di problemi che non sono né il teatro né la scena, ma sociali. Franca era come me. L’importante è la continuità».

Che cosa pensa delle Università della Terza Età?

«Ne penso bene. L’importante è non mollare; andare alla ricerca del sapere, aver voglia di conoscere. Arricchire se stessi: proprio nel momento in cui crolla tutto, il cervello è l’ultimo a perdersi. È come un muscolo: se non lo solleciti, se non lo eserciti, si atrofizza».

Uno dei problemi arrivati ad una certa età è restare soli. Le ha avuto la grande perdita di Franca tre anni fa…. E oggi?

Una bella immagine di Dario e Franca negli anni della maturità (la foto è una gentile concessione della Fondazione “Dario Fo e Franca Rame”).

«Franca mi manca tanto, ma cerco di ricordarla anche riprendendo le cose che abbiamo fatto insieme. Rivivere una situazione che non c’è più serve. Poi non sono mai solo: vivo con gli altri. E ho tanti affetti, mio figlio Jacopo, i nipoti e bisnipoti: li vedo in continuazione perché alcuni lavorano con me, uno si occupa di testi, un altro delle riprese. Per un attore è importante l’impresa di famiglia. Poi mi piace il rapporto con i giovani; sono appena stato all’Accademia di Brera, l’aula era gremita, è gratificante. Il tema era questa mostra in corso a Milano, Razza di Zingaro, dedicata a un grande pugile, Johann Trollman che durante il nazismo, negli anni Trenta, divenne il campione dei pesi medi della Germania. Ma era un sinti, uno zingaro, un diverso. Gli tolsero il titolo e finì in campo di concentramento. Nel 2003, dopo sessant’anni di indifferenza, la federazione dei pugili professionistici tedeschi ha restituito agli eredi la sua cintura da campione».

Per i prossimi anni che cosa l’attira di più? Recitare, dipingere, scrivere?

«Non ho mai avuto il problema di realizzare una cosa prima di un’altra. Ho fatto sempre ciò che mi veniva incontro, che in quel momento mi era congeniale. La mia passione civile mi ha portato a interessarmi delle stragi, degli anarchici. Mi pare con successo: Morte accidentale di un anarchico ha girato tutto il mondo. A Londra un teatro lo ha rappresentato per sei anni, un altro ha messo in scena per altrettanto tempo Non si paga non si paga (l’opera è del 1974, ndr)».

Dario Fo in uno scatto del 1988 alla libera Università di Alcatraz, vicino a Gubbio.

Come vede i giovani nel loro rapporto con l’arte, con il teatro?

«Noi alla libera Università di Alcatraz (creata in Umbria dal figlio Jacopo, ndr) facciamo scuola di teatro e recitazione da oltre vent’anni. Anche l’ultimo corso è andato benissimo: i ragazzi erano metà italiani e metà stranieri, appassionati, bravi. Io di giovani talenti ne vedo, ma poi è tutto il resto che manca; lo Stato se ne frega della cultura».

Immagine di apertura: una delle ultime immagini di Dario Fo (la foto è una gentile concessione della Fondazione “Dario Fo e Franca Rame”)

Toscana, milanese di adozione, laureata in Medicina e specializzata in Geriatria e Gerontologia all'Università di Firenze, città dove ha vissuto a lungo, nel 1985 si è trasferita a Milano dove ha lavorato per oltre vent'anni al "Corriere della Sera" (giornalista professionista dal 1987) occupandosi di argomenti medico-scientifici ma anche di sanità, cultura e costume. Segue da tempo la problematica del traffico d'organi cui ha dedicato due libri, "Traffico d'organi, nuovi cannibali, vecchie miserie" (2012) e "Vite a Perdere" (2018) con Patrizia Borsellino, editi entrambi da FrancoAngeli. Appassionata di Storia dell'Ottocento, ha scritto per Rubbettino "Costantino Nigra, l'agente segreto del Risorgimento" (2017, finalista al Premio Fiuggi Storia). Insieme ad Elio Musco ha pubblicato con Giunti "Restare giovani si può" (2016), tradotto in francese da Marie Claire Editions, "Restez Jeune" (2017). Nel gennaio del 2022, ancora con Rubbettino, ha pubblicato "Cavour prima di Cavour. La giovinezza fra studi, amori e agricoltura".

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