Pavia 27 Gennaio 2025
Digitando sul web due parole magiche, “terapia psicologica”, immediatamente incrociamo un portale specializzato che avverte: «Si tratta di una realtà interiore molto difficile da spiegare a parole. Proprio riportando in superficie le nostre parti inconsce, per esempio quelle con cui entriamo in contatto attraverso i sogni, possiamo imparare a cogliere i segnali di una relazione tossica o di una condizione che non ci fa stare bene». Questo portale, dal nome che sembra una garanzia: UNOBRAVO, ci invita a entrare nel sito (unobravo.com) e ci offre un incontro, a modico prezzo, con uno dei seimila professionisti presenti su questa piattaforma, esclusivamente, e tassativamente, online. Navigando ancora, incontriamo l’altro network, SERENIS, nome che accenna più allo stato del paziente dopo la cura che a quello del terapeuta.

Entrambi sono presenti da pochi anni sul nuovo “mercato” di cure psichiche prestate via pc a prezzi stracciati e in condizioni etiche abbastanza differenti da quelle del passato. Se pensiamo che soltanto nel 2020 l’Ordine degli psicologi della Regione Toscana vietava tassativamente ai suoi iscritti di intraprendere qualunque tipo di terapia online, comprendiamo che l’avvento del Covid, che tali modalità terapeutiche ha reso pressoché obbligate per molto tempo, tanto da scordarsi oggi il ritorno all’antica pratica della “presenza” nello studio del terapeuta, ha fatto proprio passare tantissima acqua sotto i ponti. È come se sulle nostre teste fosse trascorso un secolo e un nuovo avvenire sia ora rischiarato dalla luce del progresso. Ma sarà davvero così?
Per scoprirlo abbiamo scelto di seguire la via più difficile, con l’aiuto di alcuni esperti e anche di qualcuno che in questi network ci lavora già. «Ho l’impressione – afferma Augusto Iossa Fasano, psicoanalista, psichiatra, didatta e supervisore – che i problemi etici e tecnici che vengono posti dai nuovi network, dalle caratteristiche spiccatamente finanziarie, di marketing e business, poco abbiano a che fare con l’etica di un rapporto di cura. È vero che le tariffe minime sono state abolite dagli ordini professionali, ma questo svilimento delle parcelle, e non solo, potrebbe innescare la corrosione di un rapporto terapeutico serio. Si tratta di una cornice troppo artigianale e amichevole, somigliante al rider che, in bici, ti porta la pizza a casa; rischia di far perdere autorevolezza».

«Io credo – conclude Iossa – che sia necessario sottolineare in maniera decisa la necessità dell’incontro fisico in presenza, che è parte del faticoso lavoro di recupero della salute psicofisica». Di diverso avviso Gabriele Romeo, cofondatore della Scuola di specializzazione in Psicoterapia psicoanalitica di Reggio Calabria. «Penso sia una cosa molto positiva – esordisce l’analista – anche se non rappresenta una novità assoluta: ai tempi di Freud iniziarono psicoanalisi epistolari e negli anni Cinquanta negli Usa il telefono faceva da padrone anche nelle terapie psicologiche, vuoi per le enormi distanze unite alla ridotta stanzialità degli abitanti, specialmente i manager. Oggi il computer è un risparmio di tempo e danaro per il paziente, ma anche lo psicologo risparmia tempo e soldi perché non deve affittare uno studio, e, a differenza del medico che necessita di una semeiotica anatomica, non ha bisogno del corpo del paziente per il suo lavoro».
Comunque lo specialista reggino, nonostante pensi che con questi portali il mercato si stia rivitalizzando, sostiene anche che è indispensabile regolamentare la privacy, per evitare il rischio che i dati acquisiti dal network vengano messi in vendita. «Per questo problema – continua Romeo – probabilmente ci vorrebbe un garante nazionale, anche per limitare gli aspetti eccessivamente commerciali e trovare un equilibrio virtuoso, che ora scarseggia, tra marketing e rispetto del paziente».

Meno entusiasta Lorenzo Antichi, psicologo e dottorando di ricerca all’Università di Firenze. «Non utilizzo la terapia online per indole personale – spiega – anche se la letteratura scientifica sull’esito della psicoterapia non dimostra una differenza significativa a favore di una delle due forme. Non mi piace che i pazienti si colleghino in pigiama o da luoghi più disparati (come dal bagno di casa o in treno) in quanto anche vestirsi, prepararsi e affrontare il tragitto verso lo studio del terapeuta fanno parte della cura e degli elementi operativi del setting. Tuttavia, in caso di necessità, in caso di lunghe distanze o di scarse risorse economiche e temporali, può rappresentare un’alternativa, ma solo se non è possibile la presenza».
Invece Carla S., psicologa psicoterapeuta che in uno di questi network ci lavora, sembra molto soddisfatta. «All’inizio ero scettica ma ho dovuto ricredermi – racconta – con i ritmi di oggi anche la pausa pranzo viene utilizzata per collegarsi col terapeuta. È vero, manca il setting, ma con questo metodo vedo soggetti che non avrei mai pensato di incontrare, per esempio italiani all’estero, che preferiscono intraprendere una cura con un terapeuta che parla la loro stessa lingua». Per entrare a far parte dello staff basta il curriculum, e se idoneo, seguito da un colloquio e da una simulazione di seduta.
Interessato al fenomeno ma equidistante dai giudizi, in attesa di approfondimenti per quanto riguarda le reali possibilità terapeutiche Paolo Mandolillo, psicologo, psicoterapeuta: «Oggi tutto si fa online e questi portali sponsorizzati nascono dal mercato attuale. La terapia, anche con qualche inesperienza, viene elargita senza quelle formalità che caratterizzano la prassi normale, per esempio il rispetto dei tempi d’attesa al fine di conoscere meglio le reali condizioni psichiche del paziente. L’errore e il limite è vietare il rapporto umano. Bisognerebbe garantire anche una percentuale di sedute in presenza e aggiungerei che, come succede in medicina, sarebbe indispensabile dare spazio allo studio dell’evoluzione continua di tali pratiche terapeutiche».
Immagine di apertura: foto di Gerd Altmann