Firenze 23 Ottobre 2020
Uno dei capolavori del Rinascimento, la Resurrezione di Piero della Francesca che il celebre scrittore inglese Aldous Huxley definì “la pittura più bella del mondo” – confermando l’ammirazione di un altro grande artista, Edgar Degas che per ammirarla si recò più volte da Parigi a Sansepolcro – non cessa di rivelare sorprese. Si tratta dell’opera di uno dei più grandi artisti del mondo che seppe far confluire nella sua arte complesse questioni teologiche, filosofiche e di attualità, armonizzando i valori intellettuali e spirituali del suo tempo in un nuovo equilibrio fra razionalità ed estetica. Piero seppe coniugare la lezione della prospettiva brunelleschiana con la plasticità di Masaccio, le chiare luci del Beato Angelico e di Domenico Veneziano con la descrizione precisa e attenta dei fiamminghi, tutte caratteristiche che, filtrate nelle opere del Nostro, avranno una profonda influenza sulle scuole ferrarese e veneta.

A Sansepolcro, da quando sono stati conclusi i lavori di restauro, durati ben tre anni, l’affresco rinascimentale ha recuperato la splendida trasparenza dei colori del grande murale (4 metri e mezzo di superficie) resi, secondo il Vasari, mediante “una pittura a tecnica mista, in parte ad affresco, in parte a tempera e a secco”. Sta, infatti, nella genialità di artisti come Piero far arrivare la luce dal retro sfruttando il candore dell’intonaco per suggerire una luce diffusa, non solo quella frontale che illumina le figure, ma anche quella che proviene dall’interno. La figura di Cristo che esce dal sepolcro in una postura solenne ha così ritrovato la vivacità dei colori nelle vesti e nel vessillo crociato della vittoria. Così è anche per le retrostanti immagini della natura – a sinistra invernale e spoglia, a destra estiva e rigogliosa – intese come allegoria del ciclo della vita.
Nuovo splendore anche nel colore degli indumenti che, tra il rosso, il verde e il marrone, si alternano nel gruppo degli uomini di guardia addormentati alla base del sepolcro. Sono i soldati romani che dovrebbero custodire la tomba, ma rappresentano anche i discepoli che, nell’orto di Getsemani, non hanno saputo vegliare nemmeno un’ora. Piero della Francesca, ritraendosi nell’unica figura frontale laddove cade l’asta del vessillo impugnato da Cristo, ha così inteso indicare l’ispirazione divina che lo avrebbe indotto a realizzare quest’opera straordinaria.

Benché Piero fosse principalmente dedito a un impegno artistico di natura religiosa, lo straordinario affresco del sepolcro dal quale esce risorto il Salvatore rappresenta anche il messaggio della sua appartenenza civica alla comunità di Sansepolcro, città che si dice essere stata fondata sule reliquie del Santo Sepolcro portate fin qui da due pellegrini, Arcano e Egidio. Studiando la storia della città, i restauratori hanno fatto un’altra scoperta. Grazie alle ultime ricerche d’archivio, la data di esecuzione dell’opera, fino a ieri stimata tra il 1450 e il 1463, viene oggi posticipata al 1470, ai tempi dei tentativi della Signoria di Firenze di rendere autonoma la comunità di Sansepolcro istituendo un Gonfaloniere di Giustizia nativo della città. L’operazione di restauro, il primo dopo gli oltre 500 anni di vita dell’opera, è stata eseguita a “cantiere aperto” (l’affresco è sempre rimasto visibile al pubblico) direttamente nel Museo Civico di Sansepolcro per mano dell’Opificio delle Pietre Dure sotto la guida di Cecilia Frosinini. Nel contempo, una lunga campagna di ricerche ha portato alla luce nuove rivelazioni. La più rilevante, eseguita da laboratori di ricerca di Università e del Consiglio Nazionale delle Ricerche sulle murature del Palazzo della Residenza (oggi Museo Civico) ha consentito agli esperti dell’Opificio delle Pietre Dure di confermare che la Resurrezione rappresenta una delle più monumentali operazioni di “trasporto a massello” della storia di restauro. Originariamente l’opera sarebbe stata dipinta sulla facciata, su quello che si chiamava “l’arengario” dal quale le magistrature parlavano al popolo, per essere poi, con un “taglio” della sezione del muro dipinto, trasferita all’interno dell’edificio per esser meglio conservata. Si trattava di una tecnica usata, al tempo, anche per spostare opere di Donatello e del Botticelli, ritenuta non facile neppure a quell’epoca (sicuramente successiva alla morte di Piero, quindi dopo il 1492) che secondo i tecnici “avrebbe però migliorato la conservazione del capolavoro, rendendo più elastico il supporto, permettendogli di resistere a scosse e terremoti”

Nel Museo sono presenti altri capolavori di Piero della Francesca come lo stupendo Polittico della Misericordia (1445), 23 tavole con al centro la maestosa figura della Vergine che raccoglie i fedeli sotto il suo manto, il San Giuliano del 1454 e un San Ludovico del 1460. Si possono, inoltre, ammirare opere di Pontormo, Andrea della Robbia e di due artisti nativi di San Sepolcro, Giovanni De Vecchi e Santi di Tito.
Immagine di apertura: La Resurrezione di Piero della Francesca, affresco conservato al Museo Civico di Sansepolcro, Arezzo (foto di Veronica Ferretti)