Milano 27 Gennaio 2025

Culture diverse ma stesso prototipo di casalinga! Nel libro Una lieve vertigine, edizioni Neri-Pozza, Mieko Kanai, ultrasettantenne (è nata nel 1947) scrittrice, poetessa e critica giapponese dà voce ai pensieri, alle emozioni, ai rimpianti, ai ricordi, a tutto il mondo interiore della classica ed universale “donna di casa”.

La copertina del libro “Una Lieve vertigine”, della scrittrice giapponese Mieko Kanai, edito da Neri Pozza

La quarantenne Natsumi – così si chiama la protagonista – è sposata da dieci anni, ha un marito, due figli e una vita ordinaria, tranquilla, incanalata in binari prestabiliti. Provvede alle necessità della famiglia, va al supermercato di cui conosce a memoria tutte le disposizioni delle merci nei vari scaffali, si sente in colpa per non essere una cuoca “specializzata”, non si lascia tentare da qualche desiderio consumista perché è necessario risparmiare per le spese scolastiche dei bambini, per il mutuo, per l’assicurazione. Si sente in colpa se compera qualcosa per sé e non per i figli. Si è trasferita da poco con la famiglia in un appartamento borghese e moderno di Tokyo. Qui cerca di intrattenere buoni rapporti con i vicini, rinunciando ad esprimere le proprie idee nelle occasionali discussioni per non contraddirli. Finisce così per affermare «cose che non pensa come fossero pura verità e per fare quei banali complimenti con impassibile imperturbabilità».
Viene da pensare a quelle “vite inautentiche” di cui ha parlato il filosofo tedesco Martin Heidegger. Condurre un’esistenza inautentica è meno faticoso perché basta seguire le convenzioni sociali, adeguarsi a quello che la società comanda, ma si tratta anche di un’esistenza anonima. In Natsumi, però sotto l’apparente tranquillità, cova il tarlo dell’insoddisfazione e dell’insofferenza verso questa «vita veramente noiosa, mediocre, insignificante». Si trova spesso a sognare fissando l’acqua che scorre dal rubinetto, emozione che tenta di condividere con il marito ma senza successo. Si snoda un flusso di coscienza, che mette a nudo il suo animo in fermento.

il rituale domestico della preparazione del té in Giappone

Emergono, così, le insofferenze, i nervosismi camuffati da mal di testa, tensioni premestruali, qualche repulsione verso il coniuge e il senso di relax durate le sue assenze lavorative, l’abbandono della pignoleria domestica, perché «le faccende domestiche sono monotone e le devi fare ogni santo giorno, sembrano le fatiche di Sisifo». Si incontra spesso con le sei amiche della scuola superiore con cui potrebbe parlare liberamente, ma lei è l’unica casalinga del gruppo e questo le crea un senso di inferiorità. Tutto le fa saltare i nervi, trova ogni pretesto per attaccar briga con suo marito e «l’espressione mortificata di lui la irrita ancora di più e però inizia a sentire, con un certo masochismo, che la propria rabbia non è contro di lui, contro il suo essere ottuso, ma sia scatenata dal complesso che suscita in lei il fatto di essere una casalinga».
E poi un giorno, sempre osservando l’acqua dal rubinetto, prova una vertigine, sente la testa girarle un po’. «Non ti capita mai, mentre stai facendo qualcosa , di assentarti con la mente e d’improvviso provare una vertigine?», chiede al marito. «Non è che sei un po’ anemica?», risponde lui. È il sintomo del malessere che sta straripando, ma anche della consapevolezza sia della propria rabbia sia di se stessa.
Dal mondo di Natsumi il lettore, inizialmente forse infastidito, si sente via via risucchiare perché riferito a una normale e quotidiana vita matrimoniale in cui è facile ritrovarsi. La protagonista non racconta in prima persona, ma viene narrata dall’autrice, che entra nella sua mente e riproduce il flusso dei suoi pensieri attraverso un periodare incessante, con poche pause. È l’autrice stessa a spiegare nella postfazione il motivo ispiratore della sua opera: l’aver visto, senza volerlo, in una coppia di conoscenti, prima felici sposi e poi rancorosi divorziati, «la banale follia quotidiana di una casalinga repressa».

Due donne davanti ad un supermercato a Tokyo (foto di Ddou Dou)

La scrittura è chiara e semplice nel lessico, ma piena di descrizioni dettagliate di ambienti casalinghi, di scaffali del supermercato, di conversazioni con vicini e amici. Il tutto in uno stile cangiante adatto ai pensieri e alle emozioni che si affollano nella mente e che, pur fluidi e spontanei, non sempre seguono un ordine logico.
È un libro che fa riflettere sul matrimonio come gabbia sociale, sull’essere genitori e sulla condizione femminile. Certo Natsumi è una donna degli anni Novanta, come si deduce dalla data della prima pubblicazione del libro in Giappone (1997), ed è lecito pensare che attualmente certe situazioni di dipendenza e devozione muliebre siano più rare! Dalla vita della nostra protagonista emergono anche, ovviamente, usi e costumi della cultura giapponese: l’amore per la natura, le credenze ancestrali tipo la maledizione dei gatti, un certo conservatorismo sulle questioni sessuali.
La casalinga di Voghera, ammesso che essa abbia mai rappresentato lo stereotipo della donna italiana di casa, è andata in pensione da tempo, ma a tutt’oggi, in Italia soltanto il 55 per cento della popolazione femminile tra i 20 e i 64 anni ha un impiego; il tasso di occupazione più basso dell’Unione Europea. La casalinga esiste ancora in Italia, purtroppo, anche fra le generazioni più giovani. E questo libro si rivela decisamente attuale.

Immagine di apertura: fonte: Laboratorio di antropologia del cibo

Nata a Noci (Bari) sull’altopiano delle Murge, è laureata in Lettere Classiche all’università Cattolica di Milano, città dove ha poi sempre vissuto e insegnato nelle scuole medie e in quelle superiori. Ama viaggiare, cucinare, frequentare i concerti, ma soprattutto leggere. E’ "un'appassionata" di parole scritte, soprattutto sulla carta e non su kindle.

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