Bologna 27 Febbraio 2024

Ѐ il 2035 l’anno scelto dal Parlamento Europeo per bloccare la produzione di nuove auto a benzina e diesel, con l’obiettivo di abbattere le emissioni di anidride carbonica (CO2). Un progetto molto ambizioso, ma con non pochi scogli. Anzitutto, preoccupa la tempistica ridotta per attuare un cambiamento così importante; in secondo luogo – e qui si gioca la parte più considerevole della partita – si discute su quale sia il sistema d’alimentazione da prediligere per il futuro.

Una delle tante colonnine per la ricarica delle macchine elettriche comparse un po’ ovunque, ma i tempi di ricarica sono lunghi (foto di Joenomias)

La Commissione Europea aveva già da tempo indicato nell’elettrico lo strumento per raggiungere la “neutralità ambientale” ma gli altissimi costi di produzione, il forte impatto ambientale delle batterie a litio e le tante difficoltà connesse all’uso quotidiano di auto elettriche (dai lunghi tempi di ricarica, ai malfunzionamenti ad alte o basse temperature esterne) ne hanno ridimensionato la portata risolutiva. Ma non è tutto. In molti sostengono che puntare su questo sistema di alimentazione potrebbe esporre il mercato automobilistico europeo alla concorrenza cinese, fortissima. Ben il 60 per cento delle auto elettriche vendute a livello globale proviene dalla Cina, che ha una potenza di fuoco da 50 milioni di unità l’anno. E i numeri non sono destinati a diminuire, visto che le compagnie cinesi promettono di abbattere ulteriormente i costi con le batterie agli ioni di sodio, equiparabili per efficacia alle più note sorelle in litio (ma su quest’ultimo aspetto in pochi metterebbero la mano sul fuoco).
Come rispondere alla Cina? Se gli Stati Uniti hanno imbracciato lo scudo degli incentivi statali, i Paesi europei non hanno adottato una strategia univoca. La Francia, che il 4 ottobre 2023 aveva convinto la Commissione ad avviare un’indagine sui veicoli elettrici cinesi, ha raggiunto un accordo per produrre i componenti delle batterie nel suo territorio, con la compartecipazione delle case automobilistiche del colosso asiatico. Germania e Italia, invece, hanno preferito soluzioni differenti facendo fronte comune e incassando il sostegno dell’Associazione europea dei produttori di automobili.

La Germania ha concentrato i suoi sforzi nella produzione di e-fuel, ottenuto da idrogeno e anidride carbonica, ancora semi-sperimentale (foto: AbsolutVision)

Pur non disconoscendo l’importanza dell’elettrico, le due “alleate” si sono concentrate su alcuni aspetti spinosi della nuova manovra, mettendo in risalto le difficoltà della conversione dell’industria automobilistica e la possibilità di utilizzare combustibili a basso impatto ambientale. In parole povere, la scelta dell’elettrico sembra non aver tenuto conto dei grossi investimenti fatti dallo Stato tedesco e da quello italiano in questi ultimi anni. Berlino, che ha concentrato le sue energie sulla produzione di carburanti sintetici per non infliggere un colpo mortale al proprio comparto automobilistico, ha proposto all’Unione Europea di inserire gli eFuel, nati dalla combinazione di idrogeno e anidride carbonica, tra i carburanti “ad impatto neutro” da affiancare all’elettrico nel 2035. Dopo trattative serrate, il Ministro dei Trasporti tedesco Volker Wissing e la Commissione Europea hanno trovato un punto di incontro con una deroga per gli eFuel prodotti in Germania, poi approvata con il solo voto contrario della Polonia e l’astensione di Bulgaria e Romania. La stessa Italia, spiazzata dal voltafaccia di Scholz e dei suoi, non ha votato, a fronte del mancato inserimento dei biocarburanti nella bozza del testo scritto da Bruxelles.

Nel 2013 a Crescentino, nel vercellese, fu aperto un grosso impianto per la produzione di bioetanolo, che ha avuto vita travagliata. Ora è subentrata ENI

Quella tra i biocarburanti e l’Italia è una storia di lungo corso che non nasce dai recenti decreti del PNRR – che hanno stanziato ben 1.730.400.000 euro – riguardanti la materia. Nel 2013, l’apertura dello stabilimento di bioetanolo di Crescentino, in provincia di Vercelli, sembrava dare avvio ad un nuovo modello di produzione di combustibili a basso impatto nella nostra penisola. Ma sin da subito il progetto di conversione delle biomasse del Gruppo Mossi Ghisolfi mostrò diverse problematiche: «L’impianto originariamente doveva essere alimentato a granella di mais – sostiene Gian Piero Godio, ex Presidente di Legambiente Piemonte, che si è occupato del caso Crescentino – ma persino l’ONU definì l’uso di cibo per la produzione di carburante un crimine contro l’umanità. Poi, pensarono di utilizzare l’Arundo Donax, la canna comune, che ha una crescita veloce ed è particolarmente produttiva. Ma avrebbe comunque sostituito le coltivazioni di riso e mais già presenti. Come Legambiente fummo contrari, e alla fine provarono ad utilizzare scarti agricoli».
Ad ogni modo, le speranze del Gruppo Mossi Ghisolfi svanirono presto. Quello che era considerato il più grande stabilimento di bioetanolo in Italia fu costretto a chiudere i battenti, dopo aver prodotto poco a fronte di elevati consumi di metano ed elettricità. Nel 2018, a seguito del fallimento del Gruppo, l’impianto venne acquistato da ENI. Oggi a Crescentino, Versalis, la società chimica della nota compagnia energetica, estrae bioetanolo da biomasse lignocellulosiche adatto alla miscelazione con benzina e alla produzione di disinfettanti per mani e superfici. In questi anni, la filiera del bioetanolo italiano ha avuto, comunque, una crescita costante. Versalis è forse l’esempio più noto, ma non l’unico: CaviroExtra, IMA e Mazzari sono tra le maggiori aziende che producono biocarburante da residui agricoli, ad esempio vinacce e fecce di vino.

La barbabietola da zucchero è una fonte importante di bioetanolo (foto di Shubham)

La scelta della Commissione Europea rischia di vanificare gli sforzi di queste aziende, penalizzando fortemente il settore. A farsi portavoce delle preoccupazione dei produttori di bioetanolo è AssoDistil (Associazione Nazionale Industriale Distillatori di Alcoli e Acquaviti). “Crediamo che il bando dei carburanti del 2035 sia una mera illusione – dichiara Sandro Cobor, Direttore di AssoDistil – ed è sbagliato pensare ad una mobilità completamente elettrica visto che l’elettricità utilizzata per le auto elettriche è essenzialmente di origine fossile. E non ci sono altre soluzioni ad impatto zero disponibili su larga scala, dato che l’idrogeno verde è ancora in una fase semi-sperimentale. L’unica possibile è quella dei biocarburanti, naturalmente quelli realmente sostenibili, che possono garantire con filiera tracciata e produzione certificata un consistente abbattimento delle emissioni inquinanti di benzina e gasolio. Come il bioetanolo certificato prodotto in Italia». Il bioetanolo può essere ottenuto da qualsiasi tipo di zucchero o amido attraverso un processo fermentativo: le sorgenti più comuni sono la canna da zucchero, il mais, il frumento e le barbabietole da zucchero. Può essere utilizzato in forma pura o “idrata” in veicoli dedicati, o come miscela “anidra” bioetanolo-benzina.
La produzione italiana però non sembra essere ancora pronta a sostenere un impegno su larga scala. «La capacità produttiva di bioetanolo in Italia è importante (circa 300mila tonnellate/anno) – precisa Cobor – ma piccola se confrontata con le maggiori produzioni europee e mondiali: ciò è dovuto principalmente alla disponibilità di materia prima nel nostro Paese, ma soprattutto al mercato che vede ancora una domanda molto debole».

In Francia si fa già gran uso di bioetanolo miscelato alla benzina (foto di Maklay62)

Le statistiche confermano questo andamento e non serve andare troppo lontano per trovare una situazione differente. In Francia, infatti, le percentuali di bioetanolo miscelato alla benzina raggiungono l’85 per cento, mentre, nella nostra penisola gli esperti si augurano di raggiungere il 5 per cento entro il 2030. Buona parte del carburante bio italiano viene mandato all’estero, soprattutto in Svizzera, invece di essere utilizzato nel Paese. Nonostante le stime siano impietose, il Governo Meloni è tornato alla carica presso la Commissione Europea, nel tentativo di ribaltare la situazione. I ministri Salvini, Pichetto Fratin e Urso hanno inviato una lettera urgente al vicepresidente della Commissione, Frans Timmermans, per chiedere di inserire i biocarburanti nella deroga già conquistata dalla Germania.
Era il 22 marzo 2023. Ad oggi, la partita tutta italiana per i destini automobilistici ed energetici dell’Unione Europea resta ancora aperta. Difficile fare pronostici. Ma di questa incertezza l’Ambiente non ringrazia.

Nato a Ragusa nel 1996, si è laureato presso l'Università di Bologna in Scienze Storiche e Orientalistiche, specializzandosi in Storia Medievale. Appassionato di studi politico-sociali e delle più recenti correnti della mediterraneistica, ha pubblicato diversi articoli scientifici e divulgativi per le riviste di settore. Da tre anni collabora con il blog siciliano "oltreimuri.blog". Attualmente, lavora come tutor di Storia e Filosofia al Liceo Malpighi di Bologna

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