Il labirinto rappresenta una metafora della complessità di un sistema difficilmente decifrabile nel quale il riferimento di una via d’uscita – come nei gironi dell’inferno dantesco o nei meandri del Palazzo di Cnosso, di Lemno di Peride o di Porsenna – è difficile, se non impossibile. Con i suoi percorsi sinuosi e i suoi vicoli ciechi, il labirinto è anche un simbolo misterioso, un archetipo che si ritrova ripetuto, con poche variazioni, in numerose culture occidentali, dall’Italia alla Cornovaglia e all’isola di Gotland in Svezia e perfino nella lontana India e nell’America precolombiana.
Secondo alcuni studiosi il simbolo grafico del labirinto ripeterebbe la descrizione della misteriosa città di Atlantide fatta da Platone nel  Crizia, uno dei suoi ultimi dialoghi. Secondo altri sarebbe un topos della mente umana che, come tale, affascina tutte le antiche civiltà. Ma se il labirinto è tutto questo, come si esce dalle sue spirali?
Ancora una volta è la mitologia e la pittura che soccorre al riguardo, con la celebre storia di Teseo che, aiutato da Arianna, sconfigge il Minotauro e riesce ad uscire dal Labirinto. In altre parole ci si salva dal labirinto, la cui rappresentazione in pianta è simile alle volute del cervello umano, grazie al “filo d’Arianna” che rappresenta l’intelligenza logica infusa da Atena, la dea che aiuta l’uomo a superare difficoltà davanti alle quali, da solo, soccomberebbe.
Questo messaggio di salvezza era raffigurato anche sulla parete dell’ala est del Palazzo di Cnosso a Creta, con l’affresco della Taurocatapsia (1700-1400 a.C.) che rappresenta un eroe maschile nell’atto di compiere un singolare salto capovolto sopra il toro inferocito: un sistema di ribaltamento per superare una difficoltà estrema.

Le rovine del Palazzo di Cnosso a Creta (foto di bigfoot)

Il Palazzo di Cnosso scoperto da Arthur Evans negli anni Venti del secolo scorso, è legato al labirinto, ma c’è di più: secondo l’archeologo inglese la parola stessa deriva da lidio labrys che significa ascia a due lame, simbolo del potere reale a Creta. In altre parole “labirinto” vuol dire “palazzo dell’ascia bipenne”.
Oltre a Creta, è possibile trovare moltissime chiese, ville e siti archeologici che presentano labirinti: per le chiese San Vitale a Ravenna e San Pietro a Pontremoli, il duomo di Siena e di Lucca, per i pavimenti quelli della Cappella Sistina e di Santa Maria in Trastevere a Roma; per le cattedrali Chartres e Amiens in Francia. Relativamente ai giardini quelli dei Castelli Schönbrunn a Vienna, di Villandry nella Loira, dell’Hampton Court Palace di Londra, del Castello Ruspoli di Vignanello e del Palazzo Farnese a Caprarola. Poi ancora i siti archeologici come il Parco di Pranu Muttedu nei pressi di Goni in Sardegna e la Casa dei Mosaici Geometrici a Pompei o addirittura città, come Palmanova in Friuli Venezia Giulia.

Un plastico che evidenzia la struttura a stella del labirinto della Masone, a Fontanellato, voluto dall’editore Franco Mario Ricci (foto di Donella Pellegrini)

Tra i parchi culturali il labirinto di bambù più grande al mondo è quello nei pressi di Parma. Si tratta del Labirinto della Masone a Fontanellato, nato per volontà del celebre editore, collezionista e bibliografo Franco Maria Ricci. La genesi di questa straordinaria opera è frutto di una promessa fatta nel 1977 dallo stesso Ricci allo scrittore argentino Jorge Luis Borges, affascinato da sempre dal labirinto come metafora della condizione umana.

Uno scorcio del percorso nel labirinto della Masone creato con duecentomila bambù (foto di Donella Pellegrini)

Tra le tante tipologie di percorsi (unicursale, multiviario o multicursale) e tra le varie piante (modello cretese a sette spire, romano con angoli retti, o cristiano a undici spire) Ricci ha scelto quello univiario a stella, una forma che compare per la prima volta nel “Trattato di architettura” del Filarete. L’esperienza è senz’altro indimenticabile e suggestiva perché il Labirinto della Masone prevede 3 chilometri di percorso costeggiato da circa 200.000 bambù. All’interno c’è anche una cappella a forma di piramide, altro simbolo di antichi misteri. Oltre al labirinto è possibile visitare il museo. In esso sono presenti molte opere di valore come quelle di Valentin de Boulogne, Philippe de Champaigne, Gian Lorenzo Bernini, Giambattista Foggini, Lorenzo Merlini, Francesco Hayez, Giovanni Carnovali, le sculture di Adolfo Wildt e di Demetre Chiparus, i dipinti di Antonio Ligabue e Alberto Savinio.

Il museo del complesso della Masone ospita un’importante collezione d’arte (foto di Donella Pellegrini)

Altro tema portante della collezione è quello delle Vanitas, con le opere di Jacopo Ligozzi e Maurizio Bottoni e le tavole originali del Codex Seraphinianus di Luigi Serafini. Sono da notare i numerosi oggetti d’arte, tra i quali un modello ligneo del Duomo di Milano e uno del Duomo di Ulm. Più in generale tutto, dagli arredi fino alla sua elegantissima Jaguar, racconta la passione dell’erudito Franco Maria Ricci per l’arte, la bellezza delle forme, la lettura, la scrittura, la ricerca ed il territorio.
Vale la pena ricordare che la fortuna di Ricci iniziò nel 1963 quando decise di pubblicare un fac-simile del Manuale Tipografico di Giambattista Bodoni, direttore della Stamperia Ducale di Parma, alla fine del Settecento.

La collezione di macchine d’epoca esposte nel cortile della Masone (foto di Donella Pellegrini)

L’inatteso successo dei novecento esemplari di quella ristampa confidenziale avrebbero poi deciso il futuro della sua omonima impresa e delle sue Collane (I segni dell’uomo, Morgana, Quadreria, Luxe, calme et volupté, Curiosa, La Biblioteca di Babele, Iconographia, La biblioteca blu, Guide impossibili, Italia/Antichi Stati, Grand Tour… )

il Labirinto della Masone si racconta sui Social con #illabirintoacasa: tante Storie Instagram e Facebook

Immagine di apertura: il labirinto del Castello di Villandry, nella Loira (foto di Guy Dugas)

Pistoiese, storica dell'arte e docente. Laureata all’Università di Firenze è stata direttrice della Fondazione Pistoiese Jorio Vivarelli e successivamente ha lavorato presso la Fondazione di Casa Buonarroti a Firenze. Attualmente è nel CdA della Fondazione dell’Antico Ospedale di Santa Maria della Scala di Siena e collabora con ArtinGenio Museum a Pisa. Ha curato numerose mostre tra le quali quelle di Luciano Minguzzi e di Jorio Vivarelli a Palazzo Vecchio, di Renato Guttuso a Pontassieve, di Michelangelo a Forte dei Marmi e Firenze. Per la Regione Toscana, ha realizzato la mostra permanente sul percorso storico-artistico sulla “Identità della Toscana” a Palazzo Pegaso. Tra le sue numerose pubblicazioni il volume “Ugo Giovannozzi” per le Edizioni dell’Assemblea della Regione Toscana e assieme ad Antonio Paolucci, Francesco Gurrieri e Aurelio Amendola, “I crocifissi di Jorio Vivarelli per le chiese di Giovanni Michelucci”.

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