Milano 27 Novembre 2024
“I panni sporchi si lavano in famiglia”, diceva un vecchio adagio. Ora pare non sia più vero. Non solo perché sui Social viene sciorinata, senza ritegno, tutta “la personale biancheria intima”, ma sempre più spesso anche in letteratura il privato non è più lontano dagli occhi indiscreti. Liti, errori, misteri, vergogne, inganni familiari vengono messi in pagina e offerti al grande pubblico. E diventano la trama di romanzi più o meno avvincenti. Lo ha fatto la scrittrice francese Annie Ernaux, Premio Nobel 2022, nella trilogia autobiografica.

Lo fa ora lo scrittore milanese Andrea De Carlo con La geografia del danno (ed. La nave di Teseo). Il suo ventitreesimo libro è, infatti, un giallo familiare che prende le distanze dal passato, perché si distacca dallo stile delle precedenti opere, tradotte in 26 paesi. Non un romanzo in senso stretto, ma una storia vera, personale, priva di qualsiasi coloritura o invenzione; una sorta di autobiografia familiare in cui l’io narrante è l’autore stesso. Andrea De Carlo fa, quindi, parte della storia, ma i veri protagonisti sono i suoi genitori, i suoi nonni, i suoi bisnonni, di cui non conosceva niente. La narrazione prende il via dalla rivelazione che la nonna paterna, la cilena mai conosciuta e creduta morta da decenni, in realtà è appena scomparsa. E a dargli la notizia è proprio suo padre! Scatta in Andrea l’indignazione per il genitore bugiardo, dichiaratosi sempre orfano dall’età di due anni e la grande curiosità di svelare ciò che ha separato la madre dal figlio e di indagare, in generale, nel passato, per risalire alle origini della storia familiare. Supportato da un’ostinazione senza precedenti, lo scrittore, a mo’ di detective di memoria familiare, parte alla ricerca del vissuto parentale attraverso scritti e foto ormai ingialliti e stipati nei cassetti, testimonianze varie, intuizioni personali. L’indagine a ritroso lo porta a viaggiare nel tempo e nei luoghi, dalla fine dell’Ottocento, primi Novecento ai tempi attuali, dall’Italia al Cile, alla Tunisia.

Il nonno Carlo, giovane ingegnere navale, aveva sposato a Genova Doralice Migliar, un’attrice cilena, giunta in Italia al seguito della compagnia teatrale di famiglia e nel 1919 era nato Giancarlo De Carlo, padre dell’autore. Ma la nonna cilena, irrequieta e instabile, secondo la famiglia De Carlo, aveva abbandonato il figlio all’età di due anni, che era stato poi amorosamente allevato dalla zia Anita prima a Livorno e, in seguito, a Tunisi. Ovviamente le notizie fornite dalla zia sulla famiglia Migliar erano evasive, mai positive, volte a sottolinearne l’eccentricità e le pessime abitudini come quella di Doralice di lasciare il bambino a casa da solo per incontrare al porto i connazionali. La capillare ricerca familiare diventa, quindi, una ricostruzione storica del fenomeno migratorio di quegli anni e, in particolare, dei siciliani in Tunisia e dei piemontesi in Cile. I Migliar, infatti, erano originari di Asti e facevano parte di un flusso consistente di persone che, tra il 1861 e l’inizio della Prima guerra mondiale, erano partiti dal Piemonte e avevano attraversato oceani in cerca di fortuna. E così anche per l’emigrazione italiana in Tunisia, dopo la Prima Guerra Mondiale.
Lo scavo nel passato va di pari passo con l’introspezione dei personaggi coinvolti, a partire dalle due famiglie agli antipodi, Migliar-De Carlo; tanto eccentrica, vivace ed estroversa la prima quanto composta, ordinata ed equilibrata la seconda. Grazie ai contatti con altri parenti materni, mai frequentati prima, l’autore riabilita i Migliar: non solo guitti e commedianti, ma grandi talenti artistici, in particolare in campo musicale. Oltre alla figura di Doralice sfuggente e misteriosa e del nonno Carlo enigmatico e sempre triste, emerge il profilo dei genitori Giancarlo e Giuliana: entrambi orfani di madre fin dalla più tenera età, idealisti, sognatori, impegnati politicamente, moralmente intransigenti, architetto di successo lui, ma fragile, perché segnato da traumi non risolti, instabile emotivamente, lei. Erano accomunati da grande complicità con cui erano riusciti a nascondere ai figli l’esistenza della nonna.

I tasselli pian piano si ricompongono, ma rimane il mistero della separazione dei nonni. Il figlio della prozia Anita, interpellato al riguardo, invita Andrea ad individuare nelle foto una cicatrice sulla guancia sinistra del nonno. E l’attenzione maggiore alle vecchie immagini dà conferma di ciò. Le ipotesi da formulare diventano tante, ma l’enigma non verrà svelato! L’indagine che ha passato in rassegna due generazioni arriva allo scrittore che confessa: «Una delle ragioni per cui ho cominciato a scrivere questa storia è il desiderio di capire come un danno possa ripercuotersi attraverso le generazioni, e come gli interessati non ne siano consapevoli fino a che non provano a ricostruire cosa sia successo davvero a chi li ha preceduti».La ricerca l’ha portato a vedere in sé stesso il retaggio di famiglie vagabonde per continenti ed emotivamente instabili e al riconoscimento di aver ricreato nella vita situazioni analoghe, frutto di quell’eredità invisibile che determina ciò che noi siamo e che influenza le nostre relazioni e la nostra esistenza.
Opera interessante che colpisce per la sincerità con cui vengono narrate luci ed ombre della storia familiare. L’autore, infatti, appare imparziale, oggettivo, vero, mai benevolo nei confronti degli antenati. Non nasconde pensieri di risentimento nei confronti dei genitori, ma poi nota quanto poco pesino le loro ceneri nell’urna, rispetto alla loro statura morale e intellettiva. Partendo dall’esperienza personale, mette in campo un tema molto umano e universale: voler scoprire sé stessi e il peso delle origini nel proprio modo d’essere e nella propria eredità emotiva. Il libro è scritto in modo semplice e fluido; ha uno stile mediamente vivace che si fa più serio e rigoroso nella trattazione storica. Tuttavia, l’uso incalzante di tante interrogative, che spesso riempiono intere pagine, volte ad evidenziare dubbi su persone e situazioni, disturbano ed interrompono la piacevolezza della lettura.
Immagine di apertura: Plaza Baquedano a Santiago del Cile, più nota come Plaza Italia, con la statua dedicata al generale Baquedano (fonte: Tripadvisor)