Milano 28 Marzo 2022

Leonard Gianadda, svizzero di origini piemontesi, ingegnere civile con un passato di giornalista alla televisione svizzera, nel 1973 mentre scavava in un’area appena fuori Martigny (nel Cantone Gallese) su cui costruire un condominio, vide emergere, dal passato, proprio da quel terreno un tempio romano (che si rivelerà poi il più antico della Svizzera). Quel luogo così speciale colpì molto il costruttore e mentre valutava come progettare un edificio attorno al tempio per preservarlo rispettandone la storia, nel 1976 perse il fratello Pierre in un incidente aereo. Abbandonò allora quel progetto immobiliare decidendo di creare una fondazione culturale a lui dedicata.

Lo spazio centrale della Fondazione Gianadda, dedicato a concerti ed eventi. Alle pareti i quadri delle mostre temporanee (foto Fondazione Gianadda)

Nasce così nel 1978 la Fondazione Gianadda. Un luogo in cui diversi elementi possano essere riuniti per creare uno spazio carico di energia, non un museo polveroso, come lo descrive lui, oggi quasi novantenne (è nato a Martigny nel 1935). Per i reperti della storia gallo-romana della regione Gianadda ha voluto un’esposizione permanente nella quale è possibile ammirare monete, stele, ceramiche, gioielli, fibule e armi, mentre il corpo centrale della Fondazione ospita mostre temporanee. Al centro della struttura, un ampio spazio per concerti e altri eventi. Gli obiettivi della Fondazione furono stabiliti fin dall’inizio: onorare la memoria di un fratello morto troppo giovane con la conservazione della storia gallo-romana di Martigny realizzando importanti mostre ed eventi musicali.

Niki de Saint-Phalle, “Le bagnanti”, poliestere e fibre di vetro policrome, 1984 (acquisito nel 2002)   (foto di Michel Darbellay)

Nel 1981 è stato inaugurato e aggiunto anche un Museo dell’Automobile insieme a Fortunato Visentini, un meccanico di Martigny, una sezione dove si espongono 50 automobili d’epoca, prodotte tra il 1897 e il 1939. Ma l’attrazione forse più suggestiva della Fondazione sono i suoi giardini dove, a partire dal 1984, sono state allestite mostre periodiche di scultura. Poi, nel corso degli anni, si è andata via via componendo una collezione permanente di opere di scultori contemporanei, tuttora in divenire, ogni anno arricchita da nuovi lavori. Questo è il Parco delle sculture dove si ammirano creazioni di Arp, Max Bill, Brancusi, Calder, César, Chagall, Chillida, Ernst, Maillol, Miró, Niki de Saint-Phalle, Rodin.

César, “Il pollice”, bronzo, 1965 (acquisito nel 1998) (foto di Michel Darbellay)

La bellezza dei giardini con le fioriture a corollario di queste opere le rende particolarmente affascinanti: botanica e arte sono un connubio di ricercata raffinatezza sin dai tempi antichi, specie dal Rinascimento in poi, e ce ne sono esempi in tutta Europa. Attualmente la Fondazione ospita, fino al 3 dicembre, in collaborazione con il Centre Pompidou, la mostra del pittore francese Jean Dubuffet (1901-1985) uno dei principali promotori dell’arte informale, quella che lui chiamò Art brut, ponendo polemicamente l’accento sull’aspetto primordiale, istintivo e perciò genuino di manifestazioni artistiche spontanee. Nei suoi quadri andò via via assumendo sempre maggiore importanza la materia utilizzata, dal gesso alla ghiaia al catrame alla calce al mastice, non solo in sostituzione di quella tradizionale, ma assurgendo a cifra stilistica dell’artista, che fu anche architetto, scrittore, musicista.

Jean Dubuffet, “Elementi di architettura contorsionista”, 1969-70, resina epossidica verniciata (acquisito nel 1985) (foto di Michel Darbellay)

Dopo il 1966 Dubuffet integrò nella sua pratica la scultura, sperimentando nuovi materiali e realizzando numerose opere policrome anche in polistirolo espanso. Nel 1967 donò oltre centocinquanta opere (pitture, guazzi, disegni, sculture) al Musée des Arts Décoratifs di Parigi. Gesto davvero unico per uno come lui che affermava senza mezzi termini di voler stare «lontano da questi obitori di imbalsamazione, le cittadelle della cultura mandarina, che sono i musei». Altre opere sono naturalmente confluite nella Fondation Dubuffet. La mostra in corso si articola secondo un percorso cronologico alternando ai capolavori della sua pittura, disegni e opere su carta.

Immagine di apertura: Henry Moore, Large Reclining Figure, bronzo, 1982 (acquisito nel 1987): sullo sfondo la Fondazione Gianadda (foto di Michel Darbellay)

Milanese, è giornalista professionista del "Corriere della Sera" da molti anni. Scrive di arte per il "Magazine 7", occupandosi di tematiche che spaziano dall'archeologia al contemporaneo. Con il filosofo francese Jean Guitton ha scritto un libro di dialoghi sul tema della religione e della contemporaneità pubblicato prima in Francia, poi in Portogallo e in Italia ("L’infinito in fondo al cuore", Mondadori, 1998). È autrice e regista di video e di documentari, andati in onda in Francia sul canale televisivo "Arte". Si ricordano in particolare i suoi filmati dedicati a Giorgio Strehler; i suoi dialoghi con il maestro sono stati raccolti nel volume "Il tempo di una vita. Conversazione con Giorgio Strehler", pubblicato dalla De Ferrari Devega. Nel 2013 ha ricevuto a Roma, dalla Galleria Nazionale di Arte Moderna, il premio "Arte Sostantivo Femminile" per essersi distinta nel giornalismo d'arte. Nel corso della sua attività ha intervistato i principali protagonisti del mondo dell'arte: direttori di musei, curatori, collezionisti come François Pinault e artisti tra cui Keith Haring, Cattelan, Damien Hirst, Jeff Koons. Al museo MAMM di Mosca ha curato nel 2017 un'antologica del maestro Pino Pinelli. Collabora alla programmazione artistica di Borsa Italiana; tra le ultime mostre realizzate, quelle dedicate a Lucio Fontana (con un focus sui tessuti disegnati dall'artista) e su Gio Ponti.

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