Milano 19 Dicembre 2019
“Un Natale senza regali non è un Natale”. Incipit memorabile di un romanzo che non conosce usura del tempo. Perché le Piccole donne di Louisa May Alcott hanno i piedi nell’800 e la testa nel terzo millennio. Delizioso intreccio di passato e futuro attraverso lo sguardo fresco e pungente di quattro fanciulle, le sorelle March, protagoniste di una storia al femminile diventata romanzo di formazione per ogni generazione che l’ha letto.
Un successo inossidabile testimoniato anche dalle tante versioni cinematografiche, tra cui quella di Cukor del ’33 con Katharine Hepburn nei panni di Jo, quella del ’49 con Liz Taylor come Amy, quella del ’94 con Winona Rider, Jo, Kirsten Dunst Amy, Susan Sarandon, la signora March.
La nuova lettura, la settima, firmata da Greta Gerwin (da recuperare su Sky Cinema Due domenica 27 dicembre) si distacca dalle precedenti per spessore narrativo e taglio femminista che rende giustizia al romanzo e alla sua autrice, che aveva certo modellato l’eroina Jo su se stessa ma celava in sé anche i tratti delle altre ragazze. Il quadretto natalizio delle quattro sorelle che sognano Natale – un Natale così attuale, senza doni, senza parenti, con tanta gente affamata alla porta accanto – nel film di Gerwin non può mancare, ma non è all’inizio. Seguendo un suo personalissimo montaggio, la regista americana scompiglia i tempi e gli eventi come le pagine di un diario senza rilegatura, che cade a terra e va ricomposto. «Perché – spiega – ogni volta che l’ho letto, questo libro si è svelato diverso».

E quindi si parte da una Jo ormai donna, che finalmente riesce a veder pubblicato il suo primo racconto, avvio di una promettente carriera letteraria. Una Jo (Saoirse Ronan, già acclamata Lady Bird del primo film di Gerwin) i cui tratti e le cui scelte di vita ricalcano apertamente quelle di Alcott, donna sola, indipendente, coraggiosa, ambiziosa. Jo che vuole fare la scrittrice, che ama il teatro, i libri, le corse nei prati. I suoi modi bruschi da ragazzaccio, le dita sempre sporche d’inchiostro, il disprezzo per i bei vestiti, la totale assenza di civetteria, sono il contraltare e l’antidoto alla civetteria un po’ stucchevole di Amy, la sorella minore, delicata come una statuina di bisquit, vanitosa, smaniosa di una vita agiata, ma anche sensibile al bello, aspirante pittrice, come Beth, la terza sorella, la più fragile, aspira a diventare pianista, e Meg, la maggiore, attrice. Quattro giovani donne ciascuna attratta a suo modo dall’arte, diversissime per carattere l’una dall’altra, ma unite da una salda e incrollabile sorellanza. Termine che verrà di moda cent’anni dopo l’uscita del romanzo, in quel 1968 in cui le donne scopriranno la forza dello stare insieme, la libertà di seguire il loro destino, la gioia e la fatica di scegliere nuovi valori.

Gli stessi messi in risalto da Alcott e dal film. Se Jo rinuncia all’amore per la scrittura, Meg e Amy rinunciano ai loro sogni d’arte per dedicarsi all’uomo che amano. Una vocazione più tradizionale solo in apparenza. «Penso che il desiderio di Meg di essere moglie e madre sia una scelta femminista» avverte giustamente Emma Watson, che la interpreta. Il matrimonio è quello che Meg vuole davvero. Jo fatica a capirlo ma poi, nel giorno delle nozze, le bisbiglia: «Solo perché i tuoi sogni non sono uguali ai miei non li rende privi di importanza».
Ciascuna segua la sua vocazione, questa la vera libertà delle donne, piccole o grandi che siano. La sola che, a tutte noi che quel romanzo tanto abbiamo amato, è sempre parsa stridente, un po’ appiccicata come se l’autrice non sapesse come cavarsela, è il “lieto fine” amoroso di Jo. Che dopo aver detto no per tutto il libro al delizioso Laurie (Timotée Chalamet), decide di sposare un noioso professore attempato. Brava persona certo, con cui aprirà una scuola modello, ma insomma… Per Jo ci saremmo aspettati ben altro. Magari una scelta di solitudine, di zitellaggio consapevole come fu quella di Louise Alcott. Che di certo non avrebbe mai voluto sacrificare la sua magnifica eroina a una fine così banale, ma fu costretta dalle pressioni di un pedante editore, convinto che il solo happy end di una ragazza fosse arrivare all’altare. A rendere giustizia ad Alcott 150 anni dopo ci pensa Greta Gerwin, che con un colpo di genio scalza il finale romantico di coppia con un finale ben più emozionante, la nascita di un libro, il momento meraviglioso in cui l’autrice tiene la prima copia tra le mani. Il sorriso felice di Jo è il sorriso libero di ogni donna che verrà.
Immagine di apertura: le quattro sorelle March nel film di Greta Gerwin: da sinistra a destra, Meg (Emma Watson), Amy (Florence Pugh), Jo (Saoirse Ronan), Beth (Eliza Scanlen)