Milano 27 Gennaio 2023
Spira proprio nella direzione del cuore, dell’amore, dell’intimo di ognuno di noi Il vento soffia dove vuole, l’ultimo libro della scrittrice triestina Susanna Tamaro, pubblicato da Solferino. È un romanzo epistolare che rimanda al grande successo di Va’ dove ti porta il cuore, la lettera dalla nonna alla nipote scritta nel 1994.

Oggi le lettere sono tre, dalla madre alle prime due figlie e da moglie al marito. Chiara, la protagonista, insegnante di Biologia, dopo il giorno di Natale autorizza la sua famiglia, coniuge e tre figli, a liberarsi degli obblighi tradizionali di trascorrere le festività insieme. Tutti scelgono una destinazione vacanziera mentre lei decide di rimanere a casa. Anche Il marito Davide, dopo essersi accertato che l’isolamento del loro casale sulle colline parmensi non le faccia paura, parte. Chiara ha creato questa situazione di solitudine per dedicarsi al testamento epistolare indirizzato ai suoi cari e, come afferma lei stessa: «Per capirvi, per capirmi meglio, per comprendere che tipo di strada sia stata quella che abbiamo percorso insieme». Ricostruisce tutte le tappe della sua vita con loro, analizza le situazioni.
La prima lettera è per Alisha (anima nobile protetta da Dio), la primogenita ventenne prelevata da un orfanotrofio di Calcutta all’età di 4 anni, data l’impossibilità di procreare comparsa nei primi anni di matrimonio. A lei spiega i motivi dell’adozione, confessa la vergogna di aver pensato alla rinuncia dopo aver scoperto di essere incinta proprio prima di partire per l’India, il trauma dell’aborto a cui si è sottoposta nell’ultimo anno del liceo dopo una relazione con un leader studentesco finita male, problema rimosso e mai confidato. E poi ricorda la condivisione con lei nell’affrontare il problema dell’identità e la scoperta dei fondamenti della religione Veda. Alisha, figlia amatissima, innatamente spirituale, dal carattere solare, nonostante il vuoto delle origini, sempre entusiasta e volta al futuro, l’ha accompagnata nella ricerca del sacro all’interno della vita umana.

Molto diverso il rapporto con Ginevra, figlia naturale, concepita proprio prima dell’adozione quindi, costretta a crescere, non senza difficoltà, con la sorella adottiva. Due ragazze agli antipodi: per Alisha tutto è un dono, per Ginevra tutto è dovuto. Chiara traccia il profilo della sua secondogenita: perennemente insoddisfatta, materialista, cellulare-dipendente che ha ereditato dai genitori alterigia e presunzione. Si è “nutrita”, grazie alla nonna materna, di racconti sui nobili antenati che campeggiavano nell’antico palazzo ferrarese di famiglia, acquisendo un senso di superiorità. A lei la mamma rivela l’infelicità della sua vita in quella famiglia altolocata, fatta di solitudine, formalità, scarso amore e opposizione. Le racconta la sua cacciata dal collegio per signorine abbienti di Poggio Imperiale a Firenze, episodio che l’aveva resa consapevole del suo temperamento ribelle «di chi ricerca la verità nella sua vita e, in nome di questa ricerca, è pronto ad affrontare grandi disagi». Ma negli individui, secondo Chiara, convivono varie persone che aspettano di uscire e così la sua arida mamma, dopo una grande ferita, si era trasformata in una nonna affettuosa e, durante la malattia letale, aveva mostrato il suo volto umano e riconoscente verso tutti. Anche Ginevra, sotto la scorza difensiva, ha un cuore che batte e forse una parte del patrimonio genetico paterno che ha paura di scoprire per l’insicurezza che potrebbe provocarle.

A suo marito Davide, uomo solido, concreto, medico di grande statura morale, attribuisce il merito di averla aiutata, insieme ad Alisha, a raggiungere un equilibrio scevro da nevrosi e incertezze causate da scarso amore genitoriale e di averla stimolata nel suo percorso spirituale, approdato poi alla fede e alla richiesta convinta del battesimo.
Ripercorre il dramma dello scandalo che l’ha travolto, pur esente da qualsiasi colpa, e il momento magico della nascita del terzogenito Elia come benedizione divina e soluzione della crisi. Analizza i sentimenti che nutre nei suoi confronti e il fondamento del loro rapporto: «esserci l’uno per l’altro senza mai desiderare il reciproco possesso». Gli chiede di leggere e far leggere ai figli le lettere dopo la sua morte, che sente vicina per un problema scoperto da poco di cui non ha fatto parola con nessuno.
È un romanzo intenso, introspettivo che mette in campo la sfera intima: la conoscenza di sé, il rapporto di coppia, la relazione fra fratelli non sempre idilliaca, la morte, non solo quella biologica, ma anche quella interiore che può precederla; e poi il senso di colpa dell’aborto, i condizionamenti dell’ambiente natio e l’amore declinato in tutte le sue forme. In un mondo iperconnesso la lettera potrebbe apparire obsoleta; in realtà è una forma d’espressione che consente un’introspezione approfondita.

La scrittrice alterna la narrazione di situazioni familiari vere, schiette a riflessioni continue sull’umanità, a pagine filosofiche, a similitudini con il mondo della natura, così ricco di esempi. Introduce concetti scientifici come la differenza fra genetica e genealogia e spiega in modo divertente anche il miracolo della nascita da cui può dipendere il nostro destino.
Non mancano le critiche alla società attuale che esige omologazione e perfezione, spesso foriere di disagi psicologici; una società poco umana che si basa su protocolli e algoritmi e «che ha venduto la sua anima ai fantocci dell’intelligenza artificiale».
È una scrittura, quella della Tamaro, libera da schemi, che cambia registro a seconda dei pensieri: familiare nelle situazioni di vita quotidiana, ricercato nelle trattazioni scientifiche e filosofiche, letterario nelle citazioni poetiche di Leopardi, Montale, Merini, commovente e toccante nelle pagine emotive, tanto da lasciare il segno nel lettore.
Immagine di apertura: foto di Whitedaemon