Cose che si portano in viaggio, edito da Guanda, è il primo romanzo della giovane giornalista spagnola Aroa Moreno Durán, già autrice di poesie e di una biografia di Frida Kahlo. Il romanzo racconta una storia che attraversa l’Europa dalla fine della Guerra Civile spagnola, con la vittoria dei franchisti, sostenuti dalla Germania nazista e dall’Italia fascista, per riprendere poi nella DDR, la Repubblica del socialismo reale creata da Stalin sulle ceneri della Germania occupata dall’Armata Rossa.

La copertina del romanzo “Cose che si portano in viaggio” di Aroa Moreno Duran, edito da Guanda

Come tanti brani di diario, (ognuno dei quali porta la data di un anno particolare per il Vecchio Continente), veniamo a fare la conoscenza di una coppia di combattenti comunisti spagnoli che hanno trovato rifugio nella zona di Berlino controllata dai russi.
Le vite delle due figlie adolescenti scorrono tra gli Anni Sessanta e Settanta come quelle delle ragazze di tutto il mondo, le passeggiate, le amiche, lo studio o il lavoro, i balli al ritmo del lipsi (sorta di genere musicale inventato dal regime comunista per contrastare il fenomeno del rock occidentale), qualche amore, con le onnipresenti tessere per il razionamento e i giganteschi manifesti dei leader del comunismo internazionale. Il tutto però con la spada di Damocle del Muro che improvvisamente dal 1961 trasforma tutta la Germania Occidentale nell’altro lato con i passaggi per accedervi presidiati da poliziotti armati fino ai denti e cani feroci.
Da allora due sono gli avvenimenti rilevanti per la vita della giovane Katia. Una sera, tornando a casa, vede il padre che esce accompagnato da due uomini che sembrano poliziotti in borghese; un aspetto tuttavia amichevole e il padre, che farà ritorno solo il giorno dopo, dice alla famiglia che si tratta solo di questioni amministrative. Il secondo è l’apparizione del misterioso Johannes, un giovane affascinante che studia all’università dell’altro lato e che, come tutti quelli che provengono da lì, ha una certa libertà di movimento tra le due Berlino.
Katia si innamorerà di Johannes al punto da lasciarsi convincere nel 1971 a espatriare con una rocambolesca fuga degna di un romanzo di Le Carré. La ragazza si troverà così in Baviera, la patria di Johannes e lo sposerà; la coppia avrà due figli. Ma la vita tra i due presto diventa estremamente infelice. A una domanda del suocero Katia risponde che anche qui la sua vita è piena di amici ma quelli che aveva nella Repubblica Democratica Tedesca le sembravano più veri. Con questa frase il confine invisibile delle relazioni si sovrappone in modo inquietante al confine di cemento e filo spinato che divide la nazione.
Arriva la caduta del Muro e la riunificazione della Germania. Katia, ormai separata dal marito, torna nella sua vecchia casa al di là di ciò che rimane di quel confine che per più di trent’anni è stato il simbolo della divisione del mondo. Lì troverà la vecchia madre ormai in sedia a rotelle, accudita dalla sorella Martina che le rinfaccia la morte del padre avvenuta in carcere dopo la sua fuga illegale. I rapporti rimangono freddissimi e ormai irrecuperabili. Martina le dice di andarsene e le consegna una valigia di cartone. Katia, in preda a una sorta di orribile presentimento si rifugia in un albergo e apre la valigia. Il padre comunista, combattente repubblicano spagnolo, era un informatore della Stasi e dal carcere rivendicava i suoi meriti per poter essere liberato, accusando la figlia fuggitiva di condotta contro la legalità socialista. Katia si rende conto di essere ormai sola. Come in una favola di Lewis Carrol ha vissuto da entrambe le parti dello specchio che, ormai rotto, non le rimanda più alcuna immagine, né di se stessa, né di quale sia il mondo che ora la circonda.
Cose che si portano in viaggio, che in Spagna ha vinto il Premio Ojo Critico 2017, è uno straordinario esordio narrativo che merita senz’altro la lettura.

Immagine di apertura: uno dei graffiti più celebri della East Side Gallery, il più lungo tratto del muro di Berlino rimasto in piedi ai giorni nostri. Realizzato nel 1990 dall’artista Dmitri Vrubel, raffigura il bacio fra Leonid Breznev e Eric Honecker  (foto di Peter Dargatz)

Mancato all'inizio di marzo del 2021, era nato a San Giorgio di Lomellina (Pavia), dove ha vissuto tutta la vita, ed era avvocato penalista e scrittore. Aveva pubblicato con Manni "Notte di nebbia in pianura", con Antonio Tombolini Editore "Sette sono i re", "L'odore del riso" e "6662". Per questo editore aveva diretto la collana di classici "I Ricci", e scritto inoltre sulle riviste letterarie "La Poesia e lo Spirito" e "Il Colophon". Collaboratore del ilbuongiorno.com fin dal suo esordio, aveva tenuto per un anno questa rubrica. Le sue recensioni rimangono sul sito, nonostante la sua scomparsa. Ci sembra il modo migliore per ricordarlo.

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