Milano 25 Maggio 2021
«Cos’è la giovinezza? Un sogno. Cos’è l’amore? Il contenuto di quel sogno». Thomas Vinterberg sceglie questa frase di Søren Kierkegaard, sommo filosofo danese, come esergo al suo nuovo film, Un altro giro, nelle sale da un paio di giorni, assolutamente da non perdere. Non solo perché ha vinto l’Oscar per il miglior film straniero o perché Mads Mikkelsen dà qui la sua prova d’attore più straordinaria. Un altro giro, titolo smussato rispetto all’originale e ben più crudo Druk, è lo sguardo di un regista di gran talento e acuta sensibilità sul crinale insidioso che separa il piacere di bere dalla cupezza della sbronza.

Film sull’alcol, la sua attrazione fatale, il suo deflagrare come problema sociale, ma non solo. L’abisso su cui Vinterberg, fondatore con Lars von Trier del rivoluzionario Dogma 95, e già spietato indagatore di segreti inconfessabili in film come Festen, Il sospetto, La comune, stavolta ci spinge ad affacciarci è il più temibile per tutti, la perdita del controllo. Martin (Mikkelsen) e i suoi amici, insegnanti in scuole superiori, il che in Danimarca vuol dire una posizione sociale stimata e ben retribuita, si ritrovano una sera a cena. Per ragioni diverse nessuno di loro è soddisfatto di come è arrivato nel mezzo del cammino della sua vita. Giovinezza e amore sono sogni ormai lontani, la routine sentimentale e professionale è il loro presente e il loro futuro.
Se solo riuscissero a risentirsi di nuovo vivi, se solo il desiderio tornasse a scorrere nelle loro vene… Una sistema forse ci sarebbe, suggerisce uno di loro. Uno psichiatra norvegese, Finn Skårderud, sostiene che nasciamo con un deficit d’alcol dello 0.05% nel sangue. Da qui un sacco di magagne della psiche. Un paio di buone sorsate giornaliere basterebbero a colmare il gap, a migliorare l’umore, i rapporti sociali e privati. I quattro decidono di tentare la sfida, con rigore accademico terranno nota delle bevute e dei cambiamenti che si paleseranno. L’esperimento parte sotto gli ottimi auspici di un Borgogna d’annata, e i risultati non tardano a manifestarsi.

Sia in famiglia, dove Martin sorprende la moglie con un’inattesa notte di passione, sia in classe, dove gli studenti non sbadigliano più, le lezioni si fanno vivaci e pure sorprendenti. Come in un gioco, Martin propone un test elettorale: ci sono tre candidati, due crapuloni, attaccati alla bottiglia e al sigaro, il terzo che non beve non fuma ed è pure vegetariano. Chi votereste? All’unanimità l’ultimo, rispondono i ragazzi. Martin allora scopre le carte, i bocciati sono Roosevelt e Churchill, il promosso Hitler. «Il mondo non è mai come ve lo aspettate», è la lezione agli stupefatti allievi. E lo stesso accade anche agli altri “sperimentatori alcolici”: tutti più disinibiti, meno frustrati e angosciati.

Ma i santi bevitori, Roth insegna, inciampano sempre nel bicchiere di troppo. Ci si sente bene? Perché non provare a sentirsi anche meglio? L’asticella dei brindisi si alza, il tasso alcolico nel sangue dall’auspicato 0.05% passa a 1.2% e prosegue in salita libera. Dall’euforia piacevole si passa all’intontimento della sbornia.
Che il binge drinking, le abbuffate alcoliche, siano una consuetudine sociale ovunque si sa. In Danimarca forse un po’ di più. Vinterberg racconta che a spingerlo a addentrarsi nel grande freddo delle grandi bevute è stata sua figlia Ida, che ne aveva discusso con i suoi compagni di scuola e avrebbe anche dovuto interpretare la figlia di Martin. La storia inizialmente sarebbe dovuta essere una celebrazione dell’alcol, elisir di liberazione.
Ma poi la vita ha deciso altrimenti, a quattro giorni dall’inizio delle riprese, Ida è rimasta uccisa in un incidente d’auto. «Questo film è dedicato a lei» ha detto con le lacrime agli occhi il regista durante la cerimonia agli Oscar. Una morte tragica che non solo ha cambiato per sempre la vita di Vinterberg ma anche quella del film.
C’è qualcosa di marcio in Danimarca e anche nella felicità promessa dall’alcol. Se l’obiettivo è lasciarsi andare, l’idea di bere con morigeratezza non solo è illusoria, è un controsenso. Il finale catartico, che non racconteremo per non togliere l’emozione, lascia aperta la questione. I moralismi e i salutismi non interessano, il discorso qui è un altro: il desiderio e la giovinezza. La sbronza e l’amore sono stati di alterazione, di esaltazione, di estasi. Ma per entrare nel tempo della festa bisogna perdere la paura di volare.
Immagine di apertura: Martin (Mads Mikkelsen) in una scena del film (foto di Henrik Ohsten)