Negli anni Settanta si potevano trovare i suoi romanzi acquistandoli nelle edicole delle stazioni ferroviarie o, qualche volta, incellofanati come allegato al Playboy di Paolo Mosca o al Playmen di Adelina Tattilo. Lontanissimo dalle atmosfere mediterranee, calde e carnali di Jean-Claude Izzo e dalla Parigi algida e gollista di Jean-Patrick Manchette, i due numi tutelari del noir e del polar francesi, Frédéric Dard, scomparso nel 2000, diede vita, con le avventure del commissario Sanantonio, a una lingua letteraria completamente innovativa, a un geniale, e nel contempo bislacco, stile in cui il noir si univa al grottesco e l’erotismo sconfinava nell’umorismo. Il suo stile, che ricorda il ritmo febbricitante di Dostoevskij, divenne ben presto oggetto di studi accademici ma i suoi romanzi, dal successo di pubblico, ed economico, travolgente, furono confinati dalla critica in una sorta di serie B del noir e lui ben presto, come altri grandi autori, rimase come prigioniero del commissario Sanantonio, in un binomio di fortuna finanziaria e di costretta produzione seriale. Alla fine Dard era stato cannibalizzato da Sanantonio o forse era lo stesso Sanantonio che si era trasfigurato in Dard.

La fortuna italiana di Dard ritornerà dopo anni quando le avventure del commissario Sanantonio vengono ripubblicate dalle Edizioni E/O e, come per il grande Simenon, si riscopre anche una sua produzione letteraria meno legata al noir. È il caso de Il montacarichi pubblicato di recente da Rizzoli (il libro in Francia uscì nel lontano 1961 e ne fu ricavato un film, La morte sale in ascensore, con Robert Hossein e Lea Massari, in Italia nel 1966 per l’editore Rialta). Qui la narrazione, anche se inquietante, ricorda certe atmosfere dei romanzi del Nobel per la letteratura Patrick Modiano. Dard semplifica all’estremo il suo stile lasciando che il non detto diventi il vero deus ex machina di una trama in cui i dialoghi serrati, i paesaggi parigini oscuri che paiono come dipinti da un un Degas in fuga dall’orrore, gli odori, i profumi e i colori sono i veri protagonisti della storia. Una storia che non soltanto rifugge da ogni semplificazione di genere letterario ma che i generi letterari amalgama e fonde in un’architettura narrativa inconsueta, dove un uomo dal passato oscuro e una donna dal fascino mortale giocheranno una partita estrema in uno stabile parigino in cui una fabbrica, in apparente abbandono, si contamina con un’abitazione a cui si può accedere soltanto con un montacarichi. Albert Herbin,appena scontata una pena detentiva, è seduto solitario al tavolo di un rinomato ristorante parigino in una sera natalizia dei primissimi anni Sessanta. Qui incontra Madame Dravet, seduta nello stesso locale con la figlia. Albert accompagna a casa la donna che lo invita a salire prendendo il montacarichi. E sarà proprio in quell’appartamento, per metà abitazione, per metà fabbrica, che Herbin si troverà coinvolto in un susseguirsi di fatti angoscianti che segneranno per sempre la sua vita. Dard e Sanantonio si sono definitivamente fusi in un doppio che ci mostra come la vita e la morte siano soltanto un tragico gioco di specchi.

Immagine di apertura: Graffito con Salvator Dalì, Parigi, foto di Rbrudolph

Mancato all'inizio di marzo del 2021, era nato a San Giorgio di Lomellina (Pavia), dove ha vissuto tutta la vita, ed era avvocato penalista e scrittore. Aveva pubblicato con Manni "Notte di nebbia in pianura", con Antonio Tombolini Editore "Sette sono i re", "L'odore del riso" e "6662". Per questo editore aveva diretto la collana di classici "I Ricci", e scritto inoltre sulle riviste letterarie "La Poesia e lo Spirito" e "Il Colophon". Collaboratore del ilbuongiorno.com fin dal suo esordio, aveva tenuto per un anno questa rubrica. Le sue recensioni rimangono sul sito, nonostante la sua scomparsa. Ci sembra il modo migliore per ricordarlo.

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