Milano 27 Luglio 2024

Si fa presto a dire Europa. Una stratificazione di culture, idee e ideali, principi e progetti, regole e vincoli. Una foresta di competenze e divergenze. Un labirinto di istituzioni, organismi, agenzie, uffici. Un oceano di discorsi e discussioni. Un pozzo di denaro. Una metropoli di funzionari e addetti ai lavori. Un deus ex machina, che interviene sulle concessioni balneari di Rosignano Marittimo, sul Ponte di Messina, sull’Alta velocità fra Torino e Lione, sull’immigrazione clandestina o sull’efficienza energetica domestica.
In poco meno di settant’anni, da quando si formò con il Trattato di Roma la Comunità Economica Europea, il 25 marzo 1957, la famiglia continentale si è allargata, si è ribattezzata Unione Europea, 35 anni dopo, a Maastricht, e ha progressivamente eliminato le frontiere interne, ma non le diffidenze reciproche tra gli Stati membri.

L’emiciclo del Parlamento Europeo a Strasburgo (fonte: UE)

Per buona parte dei suoi 450 milioni di abitanti, in ogni caso, la sala macchine del bastimento europeo è ancora piuttosto misteriosa. Dove stanno le leve decisionali, a Bruxelles o a Strasburgo? Che differenza c’è tra Consiglio Europeo e Consiglio dell’Unione Europea? Conta di più Roberta Metsola, la rinnovata (a pieni voti) presidente del Parlamento, o Ursula von der Leyen, controversa presidente – appena riconfermata – della Commissione? Perché non esiste (ancora) un esercito europeo? O magari un servizio di intelligence comune?
«Innanzitutto, niente confusione: l’Unione Europea non è una federazione come gli Stati Uniti, ma un’organizzazione internazionale, una forma molto avanzata di cooperazione fra Stati – mette in chiaro Costanza Honorati, professore ordinario di Diritto dell’Unione Europea all’Università di Milano-Bicocca – . Per gli Stati Uniti d’Europa, se mai ci saranno, bisogna ancora attendere».
«Le istituzioni sono sette. A parte quelle giudiziarie, cioè la Corte di Giustizia e la Corte dei conti, e a parte la Banca Centrale Europea, le altre quattro si dividono in istituzioni comunitarie e istituzioni intergovernative – prosegue Honorati -. La Commissione rappresenta esclusivamente gli interessi europei e ha l’iniziativa legislativa. Il suo presidente, approvato dal Parlamento Europeo, deve mantenersi autonomo e indipendente dagli Stati nazionali. Il Consiglio Europeo, composto dai Capi di Stato o di governo, definisce le priorità politiche dell’Unione e gli orientamenti generali. Nomina il presidente del Consiglio (attualmente il belga Charles Michel) e l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la politica di sicurezza (attualmente lo spagnolo Josep Borrell). I probabili eredi delle due cariche sono, rispettivamente, l’ex primo ministro portoghese António Costa e la premier estone Kaja Kallas».

Costanza Honorati, professore ordinario di Diritto dell’Unione Europea all’università  di Milano-Bicocca

E il Consiglio dell’Unione Europea?

«Un tempo era noto come Consiglio dei ministri, e infatti riunisce i rappresentanti degli Stati membri a livello governativo, ossia uomini politici nazionali con incarichi di governo, per trattare questioni specifiche in materia, per esempio, di agricoltura, istruzione o finanza. Esistono dieci formazioni che si incontrano a seconda dell’oggetto in discussione. Gli Stati scelgono i loro inviati in base alle competenze. Il compito del Consiglio è di coordinare le politiche europee e di attuare il programma politico indicato dal Consiglio Europeo».

Un ruolo esecutivo, dunque?

«No, non c’è separazione di poteri. Il Consiglio della Ue legifera in rappresentanza dei governi assieme alla Commissione e al Parlamento Europeo, i cui membri rappresentano i cittadini e non i partiti di appartenenza. Per approvare una legge occorre il consenso di tutte e tre le istituzioni. Nell’Unione Europea, infatti, esiste una doppia rappresentatività: degli Stati e dei cittadini».

Si decide per maggioranza in entrambi i consigli?

«No, il Consiglio Europeo decide per consenso su massimi principi: tutti uniti per l’Ucraina o tutti contro le auto elettriche cinesi. Emana così linee direttive programmatiche. Mentre il Consiglio dell’Unione Europea decide perlopiù a maggioranza qualificata, solo di rado all’unanimità. In Europa non esiste un unico centro decisionale, il processo decisionale è interistituzionale, ed è dunque fluido».

Il palazzo “Paul-Henry Spaak”, sede del Parlamento Europeo a Bruxelles (foto di Michel Boucquillon)

Si può parlare di fluidità per una burocrazia così mastodontica?

«Il processo è complesso, vero. Ma fino al 1992 e al Trattato di Maastricht, la Comunità europea era accusata di deficit democratico. Il Parlamento europeo aveva pochissimo potere decisionale, veniva solo consultato ma non “decideva”. La Commissione proponeva e il Consiglio decideva. Ora non più. Consiglio e Parlamento sono co-legislatori. Per la maggior parte degli atti devono decidere entrambi. Ma non può essere snella e veloce una macchina che mantenga il giusto equilibrio fra gli interessi che esprimono 27 paesi con storie tanto differenti fra loro, e che sono rappresentati a livello di popolo e a livello di governi».

Quindi è difficile immaginare la creazione di un esercito comune o di una politica fiscale omogenea?

«Per ora direi proprio di sì. Ci vorrebbe una armonizzazione dei sistemi fiscali, ma sono gli stessi Stati membri, o alcuni di loro, a non volerla. L’Unione Europea non è uno Stato che ha una competenza generale su tutto. È un soggetto derivato. Può fare solo quello che i trattati le consentono di fare. Tutela l’ambiente, i consumatori, il mercato interno, certo, ma ha ricevuto dagli Stati membri pochi poteri in materia di difesa e di sicurezza».

Roberta Metsola, appena riconfermata Presidente del Parlamento Europeo, 45 anni, avvocato, è una politica maltese

E il Parlamento europeo?

«Funziona come un parlamento nazionale. I suoi membri si riuniscono in famiglie politiche europee e, se non si riconoscono in alcuna di loro, confluiscono nel gruppo misto. I cittadini votano per contribuire alla coscienza politica europea; quindi, l’ideologia comune dovrebbe prevalere su quella nazionale».

Perché il Parlamento si divide tra Bruxelles e Strasburgo?

«Alla base di sono motivi storici e la ricerca di un compromesso tra gli Stati del Benelux (Belgio, Olanda e Lussemburgo, ndr), che sono tra gli Stati fondatori. È certamente poco efficiente, e in passato ci sono stati molteplici tentativi per semplificare la situazione. Alla fine, però, si è deciso di lasciare le cose come sono sempre state e cioè; a Strasburgo c’è la sede ufficiale e la sede delle sedute plenarie ed è stata scelta perché per molto tempo è stata terra contesa tra Francia, Belgio e Germania. Le commissioni parlamentari e la maggior parte del lavoro dei deputati si svolge a Bruxelles, vicino alla sede delle altre istituzioni. Infine, il Segretariato (e cioè la struttura permanente che fa muovere la macchina), ha sede a Lussemburgo. A ben vedere è un’ottima sintesi della ricerca continua di un compromesso tra i diversi Stati membri».

Immagine di apertura: La sede del Parlamento Europeo a Strasburgo (foto di Endzeiter)

Nata a Milano, giornalista professionista dal 1981, al "Corriere della Sera" dal 1989, ha lavorato per vent’anni come inviata speciale ed è stata corrispondente dalla Spagna dal 2007 al 2011. Prima di arrivare al Corriere, è stata cronista per sette anni al quotidiano del pomeriggio “La Notte” e per altri tre a “Il Giornale” di Indro Montanelli. Collabora con il settimanale “F” (Cairo editore) dalla Fondazione. Ha scritto per Mondadori due biografie: “Margaret Thatcher, Biografia della donna e della politica” (2019), vincitrice del Premio Giovanni Comisso 2020, ed “Enigma Evita, Storia della donna che ammaliò il mondo” (2022), su Eva Perón.

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