Monferrato, Langhe e Roero fanno tutt’uno per l’Unesco; ma il Monferrato si distingue per aver conservato una varietà di paesaggio non più riscontrabile nelle celebri colline a ridosso di Alba, dove i vigneti di pregio hanno imposto un’armonia sofisticata. Lo sa bene Michele Chiarlo, uno dei padri della rinascita di un angolo di astigiano che con lui ha visto volare in America “la barbera”, un’uva che fino alla maledizione dello scandalo del vino al metanolo negli anni ‘80 (morirono diverse persone) serviva solo a “tagliare” altri vini più consistenti.

Michele Chiarlo fra i suoi vigneti

A Castelnuovo Calcea, dove nella cascina La Court ospita tra i filari le sculture di Emanuele Luzzati, confida: «Mio padre faceva lo schiavendaio (salariato fisso, n.d.r.). Mi lasciò frequentare l’enologico di Alba a costo di sacrifici enormi. Così ho potuto incontrare su quei banchi compagni che poi sarebbero diventati i protagonisti di una vera e propria rivoluzione in cantina, quella che consentì a me di sfondare oltre oceano e a una fetta importante di Piemonte di contare su una nuova, forte economia». Oggi è suo figlio Stefano a portare innovazione ulteriore. «Ma non gliel’ho chiesto, né imposto – aggiunge -; ha scelto lui di proseguire». Ma comanda sempre lei in azienda? «Comandiamo tutti, compreso l’enologo. Certo, Stefano ha le sue idee, discutiamo. Ma alla fine troviamo sempre la quadra». È lui a segnare il trait d’union tra passato e futuro nella nostra ricerca di nuove forze dell’agricoltura tra queste straordinarie colline tra astigiano, albese, alessandrino. Qui, del resto, in passato si era sviluppata una ruralità specifica con la coltivazione di una varietà di prodotti agricoli, ortofrutticoli, di metodi di conservazione, di pratiche di trasformazione uniche. Un autentico modello che aveva resistito sino agli anni Sessanta del 900; ma poi arrivò il Piano Marshall, i prezzi dei cereali furono abbassati, la collina e il frazionamento fondiario che mal si prestavano alla meccanizzazione, insieme con l’attrazione urbana dell’industria automobilistica, ed in ultimo il fallimento delle cantine sociali, determinarono l’abbandono di questa fetta di Piemonte. Così, un territorio abituato a resistere alla perdita delle migliori gioventù a causa delle guerre, non aveva retto all’abbandono di intere famiglie. Ma adesso si respira tutt’altra aria. Il ritorno alle origini da parte di molti giovani c’è, basta bussare ai casali, alle piccole strutture produttive che fanno capolino tra una curva e l’altra.

I vigneti del Monferrato (foto di Daniele Ottazzi)

Leo Carozzo lo incontriamo a Nizza Monferrato. È un giovanotto che ha studiato per fare il pasticcere e per amore s’è ritrovato a coltivare il cardo gobbo, presidio slow food. «È stato mio suocero a farmi venir voglia di coltivare questa specialità. Alla fine ho messo in piedi la mia ditta, coltivo, faccio i mercati, mi chiamano addirittura a fare convegni, a raccontare la mia attività nelle scuole. Non l’avevo immaginato, ma col cardo gobbo oggi con la mia famiglia ci campiamo e contiamo addirittura di ingrandirci».

Leo Carozzo con il suo cardo gobbo

Poco fuori Nizza è Mauro Damerio a svelarci che ha voluto fermarsi dopo l’enologico per “reinventare” l’azienda agricola dei genitori. Ho capito che bisognava diversificare, allargarsi, concepire il modo di coltivare in modo moderno, puntare sulla qualità totale. I genitori l’han lasciato fare, pur non così convinti. «Lavoriamo una cinquantina di ettari, parte di nostra proprietà, parte in affitto. Produciamo vino, ma non solo. Abbiamo anche intenzione di attivare un agriturismo; insomma, vogliamo spaziare dalle coltivazioni all’ospitalità».

Alessandro Durando: produce vino, nocciole e gestisce un agriturismo

Uno con le idee chiare è anche Alessandro Durando. Alle porte di Asti, nella Portacomaro abitata dai bisnonni di Papa Francesco, oggi polo culturale assai vivace, ha rigenerato l’azienda di famiglia puntando sulla multifunzionalità: nocciole, vino, gestione di agriturismo, attività didattiche con tanto di orto a disposizione delle scuole, recupero degli antichi ciabot in cui si ricoveravano gli attrezzi lungo i sentieri che incorniciano i vigneti. E a lavorare, nella tostatura delle nocciole, c’è oggi con un amico d’infanzia e la moglie, anche un giovane immigrato dal Ghana. Al suo paese faceva tamburi e la guida turistica; ci ha messo poche settimane a capire come affrontare le colline monferrine.

Cesare Quaglia, dall’altra parte del capoluogo astigiano, nella zona di Variglie/Revigliasco, è un geometra “pentito”. Nel senso che ha studiato, ma il diploma non l’ha strappato alla sua terra. In passato in quest’area del Piemonte era importante la produzione della canapa. Ora Quaglia diversifica, s’allarga ai girasoli, al grano, a una varietà di ortaggi; una cinquantina di ettari e, per la canapa, l’incombenza di far arrivare la mietitrebbia addirittura dalla Germania perché l’Italia, in tal senso, è poco fornita e costosa. Ma come l’hanno presa i suoi genitori questa scelta? «Bene – risponde -. Hanno avuto fiducia. Credo di non averli traditi». Ha una marcia in più Cesare; s’è spinto in Senegal, ha attivato una cooperazione internazionale e almeno due volte l’anno va in Africa ad aiutare i contadini a fare agricoltura sostenibile. Ha convinto pure il Comune di Asti a partecipare.
E a Vaglio Serra c’è la cantina sociale, una cantina cuore pulsante di un territorio, perché in prima linea, sempre, a tutela del rispetto delle specificità; sulle orme di Davide Lajolo, lo scrittore partigiano che chiamava queste colline “il mio mare verde” e con Giorgio Bassani condusse una delle prime battaglie ambientaliste del dopoguerra italiano, impedendo a un imprenditore spregiudicato, “l’uomo dai capelli rossi”, il saccheggio di parte di quel paradiso. “«Su 200 soci – spiega Lorenzo Giordano, presidente della Cantina – l’80 per cento sono giovani tornati alle origini».
Anche Marco Rosselli rappresenta il “ritorno alla casa paterna”. Lui vive ormai nell’albese, a Barbaresco, nel cuore della Langa divenuta leggenda. A “tradire” era stato suo padre: troppo “bassa” quella terra da malora incapace di sfamare dignitosamente una famiglia. Se n’era andato a Torino negli anni Settanta, ad aprire un bar. Non aveva però svenduto le sue terre. E Marco, messo da parte il titolo di studio, ha ora re-invertito la rotta: è tornato, ripreso in mano la situazione, chiesto contributi all’Europa, ripristinato i vigneti….. Chi l’aiuta? «Tutti, moglie, figli piccoli – risponde -. E i miei genitori, che in fondo han sempre creduto in questa terra, anche se l’avevano abbandonata».
Ma è una giovane donna di Monforte d’Alba a colpire di più in questo viaggio tra nuove energie e visioni di futuro: Sara Vezza, liceo classico, laurea, stage all’estero. Nella sua azienda che produce Barolo e si attrezza per fare pure accoglienza, ha introdotto nuove metodologie di vinificazione in grandi “uova” di vetro/ceramica e già vanta esportazioni all’estero. Figlia di insegnanti all’enologico di Alba, coltiva l’amore per la storia familiare e la sfida verso nuovi, inesplorati traguardi. Crede nel territorio e nella collaborazione soprattutto al femminile; e ha dato vita ad una associazione, “le donne del vino”, per confronti, promozioni, iniziative condivise.

Immagine di copertina: Sara Vezza, giovane imprenditrice del Barolo (foto di Massimo Gavello)

Originario del cuneese, ma astigiano di adozione, giornalista, è stato per quasi trent’anni il curatore e conduttore della trasmissione di Raitre “Ambiente Italia”, oltre che redattore del tg3 Piemonte. Dopo il praticantato ad "Avvenire" nei primi anni Settanta, ha lavorato per oltre dieci anni all’Ansa di Torino e come corrispondente da Torino per il "Corriere della Sera" dall’85 al ‘90. È stato consigliere dell'Ordine e Presidente dei cronisti piemontesi. Ha raccontato in un libro edito da Eri l’esperienza di Ambiente Italia sino al 2001: “Ambiente Italia, il Paese com’è”.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.